Editoriali
La strategia miope di chi non capisce i dubbi di Israele sui corridoi di Gaza
L'Egitto sostiene la richiesta di Hamas che non vuole soldati israeliani a Gaza. Ma quella presenza è centrale per assicurare che il gruppo islamista non recuperi le sue capacità di combattimento
Gli Stati Uniti dicono che i negoziati per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza e alla liberazione degli ostaggi sono tutt’altro che finiti, vanno avanti e alcune divergenze sono anche state appianate. Rimane molto da fare, ma quel che è stato fatto serve ad andare avanti, non si butta via. Israele si impunta sui corridoi, che vede come centrali per il futuro della sua sicurezza e il controllo del corridoio Filadelfi – al confine con l’Egitto – e del Netzarim – che taglia in due la Striscia di Gaza – sono effettivamente centrali per assicurarsi che Hamas non recuperi le sue capacità di combattimento. Hamas non vuole i soldati israeliani a Gaza e ha trovato nell’Egitto un suo alleato: il Cairo non vuole che Tsahal controlli una zona vicino al suo confine. Il presidente americano, Joe Biden, durante una telefonata con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, gli ha chiesto di ritirare le forze israeliane nella prima fase dell’accordo, che dovrebbe realizzarsi in tre fasi, e il premier ha accettato. Gli americani sono consapevoli di quanto il controllo dei due corridoi non sia soltanto una questione di politica interna usata da Netanyahu, ma sia un serio problema di sicurezza. I colloqui si svolgono in questi giorni al Cairo, Israele ha mandato i rappresentanti più alti in grado della delegazione – tutti i capi dell’intelligence – anche il capo della Cia, Bill Burns, è andato in Egitto. Hamas invece ancora non ha fatto sapere se si presenterà o meno, potrebbe essere domenica la giornata dell’incontro, ma il gruppo, ancora una volta, potrebbe scegliere di tirarsi indietro. L’accordo non riguarda soltanto la fine delle ostilità tra Israele e Hamas, ma anche la reazione degli alleati del gruppo della Striscia, inclusi i miliziani di Hezbollah che sparano dal Libano, inclusi gli houthi che colpiscono dallo Yemen, incluse le milizie sciite in Siria e in Iraq e incluso il gran regista di tutti questi odiatori dello stato ebraico: l’Iran. Il rischio è che per concludere un accordo, Israele finisca per mettere a repentaglio la sua sicurezza futura.