editoriali
La rivolta dei contadini inglesi
Il populismo internazionale versione Musk sobilla la protesta contro Starmer
Il governo di Londra starebbe facendo “full Stalin” con gli agricoltori, dice Elon Musk, e si sa che gli agricoltori arrabbiati hanno un repertorio di argomenti forti: animali, letame, liquami non riassorbiti dai campi, fieno e autostrade intasate. I britannici finora non avevano urlato forte quanto i loro (ex) colleghi dell’Unione europea, ma stavolta, contro la finanziaria di Rachel Reeves che, con la scusa di far pagare le tasse ai milionari che investono nelle grandi proprietà, ha imposto una tassa di successione del 20 per cento a chiunque abbia una fattoria da più di un milione di sterline, si preparano a dare spettacolo, sobillati dal gotha del populismo internazionale più che mai in vena di semplificazioni. Non solo una star locale come Jeremy Clarkson, che ha scomodato l’idea di una “pulizia etnica” contro gli agricoltori, e un po’ di estrema destra sempre pronta a cavalcare lo scontento, ma lo stesso Musk, che già nelle settimane passate cinguettava che “dovremmo lasciare in pace gli agricoltori” visto che dobbiamo loro “immensa gratitudine perché producono il cibo che finisce sulle nostre tavole” e che ora è tornato all’attacco del governo laburista di Keir Starmer. Dopo che in America Musk ha aiutato a muovere il voto Amish a favore di Trump proprio con temi come questi, lo scontento degli agricoltori è un terreno fertile e la minaccia di scaffali dei supermercati vuoti, cosa che dalla Brexit in poi è diventata meno rara, è brutta sotto Natale.
Oggi a Londra si sono dati appuntamento (senza trattori) per la prima manifestazione importante contro il governo Starmer, che ha detto che non intende cambiare idea e che ha ricordato di aver messo a punto misure fiscali favorevoli per la categoria e altre sottigliezze. “Mai mettersi a litigare con una categoria che compare nei libri per bambini”, recita un vecchio consiglio dell’Economist che Downing Street ha disatteso, come molte promesse della campagna elettorale, lasciando un vuoto di comunicazione che i peggio intenzionati hanno gioco facile a riempire.