Editoriali
Il manifesto della non terzietà dell'Anm
Categorie e associazioni possono dire la loro, ma non possono sequestrare al Parlamento la sua facoltà di fare le leggi. Le esondazioni della magistratura spiegate con la lotta contro la riforma Nordio
L’Associazione nazionale magistrati ha dichiarato guerra alla riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Scioperi, referendum, comitati vengono indicati come gli strumenti per “fermare” l’iniziativa del governo, esattamente quello che farebbe un partito politico o un sindacato politicizzato. Tutta questa agitazione fa intendere che la questione è seria, e lo è effettivamente. Si tratta dell’indipendenza, o per meglio dire della terzietà, del magistrato giudicante, che dovrebbe essere equidistante da accusa e difesa, ma se la sua carriera dipende dal partito delle procure, che attraverso le correnti domina nel Csm, non è affatto indipendente. Così l’indipendenza della magistratura viene brandita per negare o almeno limitare l’indipendenza del magistrato giudicante, che è il primo requisito di ogni sistema giuridico e la cui dubbia consistenza è alla base del discredito che soffre quello italiano. Inoltre, semplicemente sul piano funzionale, è evidente che la formazione e le competenze di un giudicante sono diverse da quelle di un inquirente, il che dovrebbe suggerire che chi segue una strada non dovrebbe poi poter passare all’altra.
Quello che conta soprattutto è il diritto di un imputato, sia un cittadino o un’impresa, di essere giudicato da un magistrato che non sia influenzato o influenzabile di più dall’accusa che lo persegue che dalla difesa che fa valere i suoi diritti e le sue ragioni. La garanzia di una giustizia non condizionata è un diritto dei cittadini che va difeso in ogni modo, garanzia che l’attuale meccanismo non fornisce a sufficienza. Infine, com’è ovvio, le leggi le fa il Parlamento, cioè la rappresentanza della sovranità popolare, ovviamente nel rispetto della Costituzione, a cominciare dall’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Categorie e associazioni possono dire la loro, naturalmente, ma non possono sequestrare al Parlamento la facoltà di legiferare e alla Corte quella di giudicare della conformità delle leggi alla Costituzione. Arrogarsi queste funzioni da parte dell’Anm è davvero un po’ troppo.