Editoriali
La parabola suicida dell'Iran. Ha il gas ma teme l'inverno
Il regime di Teheran ha concentrato le sue spese sulla militarizzazione. Ha la materia prima ma non le infrastrutture, e i consumi sono fuori controllo. Quindi scuole e uffici vengono tenuti chiusi per non congelare
La Repubblica islamica dell’Iran è al freddo e non sa come scaldarsi. Il presidente Massoud Pezeshkian ha chiesto di chiudere le scuole e anche gli uffici pubblici, meglio lavorare da remoto perché non c’è gas per tutti, quindi i denti meglio batterli a casa. Il ministro degli Esteri, Abbas Araqchi, ha detto agli iraniani di coprirsi di più, e di abbassare il termostato perché ci sono intere aree dell’Iran che non sanno come scaldarsi. Eppure il paese ha la seconda riserva di gas naturale più grande al mondo, con riserve a sud del paese e nelle acque del Golfo Persico, incluso un giacimento che divide con il Qatar.
Il problema quindi non è che a Teheran manca la materia prima con cui riscaldarsi, ma che i consumi sono fuori controllo e soprattutto mancano le infrastrutture adatte a soddisfare la domanda e i tentativi di stargli dietro generano effetti nefasti: l’inquinamento in inverno peggiora perché le centrali elettriche sono costrette a bruciare mazut, un olio combustibile pesante, per compensare la domanda di gas. Infrastrutture vecchie, cattiva gestione, pochi investimenti hanno portato l’Iran a temere l’inverno e la colpa non è tutta delle sanzioni contro Teheran, ma della gestione che il paese ha scelto di fare delle proprie risorse. Il regime di Teheran ha concentrato le sue spese sulla militarizzazione, ha finanziato, creato, allevato gruppi armati per attaccare Israele, quando la popolazione chiedeva di destinare quei soldi a far stare meglio gli iraniani. L’Iran al freddo, con il gas ma senza infrastrutture adatte a usarlo, è il risultato dell’involuzione del regime, della parabola suicida dei paesi che scommettono sulla militarizzazione e su alleanze sghembe come quella con cui Teheran si è legato alla Russia.