Greetings to Obama
Lunedì sera un attacco con armi chimiche ha ucciso sei civili a Sarmin, nella provincia siriana di Idlib, vicino al confine turco. Cinque erano della stessa famiglia: padre, madre, tre bambini. E’ stato usato il tipo più rudimentale di arma chimica: un barile contenente esplosivo e una sostanza tossica industriale come il cloro, di facile reperibilità. La bomba esplode – e di solito è così che muore la maggior parte delle vittime – e dall’ordigno si disperde una nuvola di residuati gassosi verdognoli che soffoca chi è nelle vicinanze. E’ lo stesso tipo di bomba chimica che lo Stato islamico in Iraq piazza ai bordi delle strade, soltanto che in questo caso a sganciarlo su Sarmin è stato un elicottero dell’esercito siriano.
La bomba al cloro ha un potenziale militare “basso” (rispetto alle armi chimiche più evolute) ma ha un grande significato politico: è un messaggio che gli assadisti indirizzano alla loro base. “Vedete – dicono – il segretario di stato John Kerry ha appena detto che l’America deve negoziare con noi, e noi continuiamo a fare quello che vogliamo alle nostre condizioni: anche a usare le armi chimiche. Le stesse che Obama definì nel luglio 2012 la linea rossa che non può essere valicata”. In questo modo Assad lenisce il grande affronto di essere stato disarmato dell’arsenale chimico più sofisticato (quello con il gas sarin), con attacchi minori qui e là. I media ormai non se ne occupano più, ma quello di lunedì sera ha toccato due ricorrenze simboliche: è arrivato il giorno successivo alle dichiarazioni di impotenza di Kerry e nel giorno del venticinquesimo anniversario della strage chimica contro i curdi a Halabja, ordinata da un altro baathista, Saddam Hussein.