Porgi l'altra diplomazia
L’azione militare non è una soluzione: solo un ampio consenso politico attraverso il dialogo può fornire una soluzione duratura”. Che sia l’Ucraina, la Libia o la Siria, le dichiarazioni di Federica Mogherini sembrano ciclostilate. A ogni crisi, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea risponde che l’unica via è il “dialogo”, se possibile sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’ultima ode agli effetti taumaturgici della diplomazia riguarda lo Yemen: “Gli ultimi eventi hanno drammaticamente peggiorato la già fragile situazione nel paese e rischiano di avere conseguenze regionali gravi”, ha detto Mogherini giovedì, dopo i bombardamenti della coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita contro le milizie sciite Houthi sostenute dall’Iran. Certo l’avanzata Houthi è “inaccettabile”, ha spiegato Mogherini. Ma, anziché soccorrere il presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi e impedire la presa di Aden, Riad dovrebbe “agire responsabilmente e costruttivamente per creare le condizioni di un ritorno ai negoziati”. Come se una guerra per procura tra due potenze regionali teocratiche potesse risolversi civilmente con uno scambio di cabli.
La storia, anche recente, insegna che gli interventi militari spesso sono parte della soluzione. Senza i bombardamenti in Bosnia e Kosovo, la crisi dei Balcani sarebbe stata risolta dalla pulizia etnica di Slobodan Milosevic. La partenza dell’hard power americano dall’Iraq ha lasciato campo libero allo Stato islamico e alle milizie sciite cancellando i successi del Surge. Per contro, quando non è sostenuta dalla forza degli eserciti, la “diplomazia” diventa parola priva di significato, come ormai è nel vocabolario di Mogherini. In Ucraina, il dialogo del “formato Normandia” (Angela Merkel e François Hollande) ha consentito la tranquilla marcia di Vladimir Putin. In Siria e Libia, gli sforzi dell’Onu (dai negoziati di Ginevra a Bernardino León) sono diventati l’alibi per non fare nulla. Mogherini è preparatissima e apprezzata. Ma le sue dichiarazioni sullo Yemen, diventato campo di battaglia della guerra tra Iran e Arabia Saudita, confermano che l’Ue non è pronta a fare ciò che è necessario per contribuire a risolvere crisi e conflitti a poche centinaia di chilometri dai suoi confini: minacciare o usare l’hard power per fare funzionare il suo soft power.
Dalle piazze ai palazzi