Scontro di civiltà nella gauche francese
Arnaud Montebourg, ex ministro dell’Economia francese, giura che il suo futuro sarà lontano dalla politica che conta, che la sua battaglia prioritaria continua a essere la salvaguardia del made in France, ma che preferisce condurla da un’altra prospettiva. Non parlava da sette mesi, lui che è il più loquace esponente dell’ala radicale del Partito socialista francese, poi lo schiaffo elettorale di domenica scorsa gli deve essere parso un’occasione imperdibile. Così ieri in un’intervista a Les Echos, Montebourg è tornato ad accusare la maggioranza socialista, “François Hollande porta avanti una politica che soffoca l’economia”.
Dietro l’attacco a Hollande si cela naturalmente una critica velenosa al suo successore a Bercy, Emmanuel Macron: sulla legge per le liberalizzazioni che porta il nome del ministro Montebourg “non vuole esprimersi”, e lascia così intendere tutto il suo fastidio. Non sarà una guerra personale, non formalmente almeno, ma una guerra culturale dentro al Partito socialista quella sì, soprattutto ora che pesa la sconfitta elettorale. Montebourg fomenta la fronda del Partito socialista, quell’aile gauche che considera Macron un “salopard de banquier”, un fottuto banchiere, e che segue quel che dice la rediviva Martine Aubry quando definisce la scoppola “un voto di protesta contro la politica nazionale”. Macron, forte dei sondaggi che lo danno in testa alle personalità politiche preferite dai francesi (58 per cento di gradimento), annuncia per l’estate la “loi Macron II”, contando di contrastare l’assalto dei Montebourg, convinto com’è che nell’eterna incertezza su come essere, la sinistra francese abbia già perso troppe battaglie.