Il professionista dell'idealismo deluso
L’Amministrazione Obama non riconoscerà il genocidio degli armeni nemmeno nell’anno in cui cade il suo centesimo anniversario. In un documento pubblicato mercoledì, la Casa Bianca chiede un “pieno, franco e corretto riconoscimento dei fatti” del 1915, ma non va oltre. Ci sono state delle “atrocità”, si legge in un altro comunicato, ma in nessun documento né sulla bocca dei funzionari si trova mai la parola genocidio. Così domani, per l’anniversario di quello che Papa Francesco ha chiamato “il primo genocidio del Ventesimo secolo”, Obama manderà a Yerevan, capitale dell’Armenia, il suo segretario del Tesoro a commemorare un evento che la sua Amministrazione non riconosce ufficialmente. Nessun presidente americano ha mai riconosciuto il genocidio armeno, ed è facile comprendere le ragioni di realpolitik che hanno spinto Obama a seguire l’esempio dei suoi predecessori.
L’America sta cercando di convincere la Turchia ad assumere un ruolo più deciso nella guerra contro lo Stato islamico e Ankara già adesso esita a fornire ai mezzi americani le sue basi strategiche, come quella di Incirlik da cui oggi possono partire soltanto droni non armati. Una crisi diplomatica e una eventuale rappresaglia turca metterebbero a rischio la già traballante strategia obamiana in medio oriente. “E’ questo il momento per dare alla Turchia un calcio nelle palle, con tutto quello che succede nella regione?”, ha detto un ex funzionario del Congresso a Foreign Policy. Eppure l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Samantha Power, sul disinteresse dell’occidente nei confronti dei genocidi misconosciuti del Ventesimo secolo ha scritto un libro e ha costruito una carriera diplomatica. Lo stesso Obama, da candidato alla presidenza nel 2008, diceva che il genocidio armeno è un fatto “ampiamente documentato” e che da presidente lo avrebbe riconosciuto come tale. Le promesse di un candidato e i doveri di un presidente, si sa, differiscono grandemente, e Obama ci ha abituati a temperare con il cinismo le troppe speranze che aveva profuso all’inizio del suo mandato. Domani, la presenza a Yerevan di un funzionario di alto rango come il segretario del Tesoro vorrebbe essere un gesto riparatorio per il mancato riconoscimento, ma assomiglia più che altro a una beffa.