Pantere a Baltimora
Roma. L’ha capito subito il creatore della serie tv “The Wire”, David Simon, quando ha visto le immagini dei riot nelle strade di Baltimora. “The Wire” è una serie in cinque stagioni che pochi anni fa, con il pretesto di essere un poliziesco, ha raccontato Baltimora e l’America. I quartieri dove non si può entrare. La parlata fra neri così intraducibile e chiusa che i bianchi hanno bisogno di un traduttore quando intercettano al telefono i narcotrafficanti. Il sindaco che deve decidere se avere una buona scuola o una buona polizia, perché non può pagare entrambe. Simon scrive alla gente nelle strade: “Quello che sta succedendo adesso nelle strade è un affronto al ricordo dell’uomo (il venticinquenne Freddie Gray, ucciso in strada mentre era sotto la custodia della polizia) e una diminuzione della lezione morale assoluta impartita dalla sua morte non necessaria. Se non riuscite a chiedere un risarcimento e riforme senza tenere un mattone in mano, allora rischiate di sprecare questo momento che era di tutti noi di Baltimora. Tornate indietro. Andate a casa. Per favore”.
E invece, a Baltimora più che a Ferguson, il lato violento e senza legge della città ha battuto e di molto chi voleva protestare pacificamente, quelli delle mani alzate, i campioni dei diritti civili arrivati per il funerale di Gray. Non sono bastati i casi singoli di buon senso, come la madre, una maestosa matrona nera, andata a riprendersi il figlio incappucciato a suon di schiaffoni. “Dei criminali senza scusanti”, dice Obama. Il New York Times intervista un ragazzo del gruppo Crips – una banda della criminalità giovanile che è sulla scena nazionale da decenni – che parla di una tregua antipolizia stipulata con i Bloods, gli avversari storici. “Ero da solo sulla mia macchina, mi hanno visto ma non mi hanno fatto nulla”, dice il ragazzo eccitato dalla nuova situazione. “Abbiamo protetto i negozi dei neri, abbiamo indirizzato i saccheggiatori verso i negozi dei cinesi e degli arabi”. Hanno manifestato a braccetto con i completi scuri e papillon rossi della Nation of islam, il gruppo di Louis Farrakhan che si autodefinisce “setta islamica militante”. Il commissario della città, Anthony Batts, dice che Crips e Bloods hanno fatto un patto per uccidere un poliziotto a testa. A loro si aggiunge la Black Guerrilla Family, un’altra banda che conta sui pregiudicati più pericolosi della città. E’ la “blackpantherizzazione” dei disordini, che a giudicare dai reportage sono colpa di un novanta per cento di opportunisti in cerca di un mall da razziare e da un dieci per cento di teste calde cariche di ideologia.
[**Video_box_2**]Il risultato è una fiammata che ha fatto accorrere mille uomini della Guardia nazionale, con quei ridicoli veicoli blindati Mrap reimportati dall’Iraq, ha bruciato 144 automobili e alcuni edifici, compreso una casa di cura costruita grazie alle donazioni di una chiesa battista, e ha causato in città un coprifuoco notturno che durerà una settimana. E ha dato il destro ai freak da internet come Donald Trump per stoccate come questa: “Il nostro grande presidente afrocamericano non ha esattamente avuto un impatto positivo sui teppisti che stanno così gioiosamente e liberamente distruggendo Baltimora”. Anche sul fronte opposto le battute non sono meno feroci: “il Secret Service che protegge Obama è l’unica agenzia federale che finisce nei guai se sparano al nero”.