Podemos è arrivato tre
Roma. Alle elezioni locali in Spagna i vincitori sono arrivati terzi, e i primi sono additati da tutti come i grandi sconfitti. E se è vero che per valutare vittoria e sconfitta bisogna guardare ai punti di partenza (il Partito popolare del premier Mariano Rajoy ha perso la maggioranza in gran parte delle regioni, e in alcune città che prima governava), per dare un senso alle elezioni spagnole bisogna guardare anche alle aspettative. E queste ci dicono ancora una volta che Podemos, il partito antisistema guidato da Pablo Iglesias, non ha sfondato, l’unica vera conquista è la città di Barcellona, e che l’opera paziente di contenimento dei populismi da parte del premier Rajoy in buona parte ha avuto successo. Podemos è il terzo partito, ben distante nel voto generale dai popolari, che hanno ottenuto il 27 per cento dei voti, e dai socialisti, che hanno il 25. Ma contenere i populismi ha un prezzo, e lo mostra bene la mappa elettorale. Domenica gli spagnoli hanno votato in 13 delle 17 regioni, e in tutti i comuni del paese. I popolari sono il partito più votato in assoluto quasi ovunque (resta fuori il fortino socialista dell’Andalusia), ma con alcune eccezioni (quattro regioni, una sola maggioranza assoluta) non potranno andare al governo, superati dalle alleanze variabili tra i socialisti e Podemos, con l’aggiunta in alcuni casi di Ciudadanos. L’esempio perfetto è la città di Madrid, dove i popolari sono stati il partito più votato, ma i 21 seggi ottenuti dalla candidata Esperanza Aguirre al Parlamento cittadino non sono sufficienti contro i 29 congiunti di Podemos (20 seggi) e dei socialisti (9 seggi).
E’ così che nasce la “vittoria” di Podemos, da un patto con il diavolo tra la sinistra dei socialisti del giovane segretario Pedro Sánchez e il partito sfasciatutto di Pablo Iglesias – di contro, la “sconfitta” di Rajoy nasce dalla non volontà, e a volte dall’impossibilità, di fare alleanze contronatura. Così la sinistra avanza nelle città e nelle regioni spagnole, ma con conseguenze ancora incerte. Per Podemos innanzitutto: Iglesias è stato furbo a far correre delle liste collegate a Podemos, con nomi diversi come Ahora Madrid o Barcelona en Comú, per ridurre l’identificazione con il partito centrale, ma l’illusione durerà poco ora che i suoi candidati saranno costretti a governare con uno dei partiti considerati fino a oggi la causa di ogni male, e Iglesias dovrà negoziare posti e poltrone. La prova di governo spesso brucia i populismi, e il governo di coalizione rischia di fare ancora più male. Le conseguenze peggiori però potrebbero arrivare per il Partito socialista. Sánchez ha cercato di inserirsi nell’alveo delle nuove sinistre europee, ha elogiato Matteo Renzi e il premier francese Manuel Valls, ma oggi si trova a dialogare con Iglesias, spesso da una posizione di minorità. La nuova sinistra spagnola improvvisamente si scopre vecchissima, e particolarmente sensibile alle intransigenze di Podemos. E’ questa una delle lezioni del voto spagnolo, che la sinistra, in questo momento, è più vulnerabile davanti alle demagogie, e in tutta Europa, con poche eccezioni come l’Italia, spesso a opporsi al populismo il centrodestra resta da solo.
[**Video_box_2**]Quello di Mariano Rajoy ha retto, ma non ha evitato la crisi. Ha dimostrato che alle elezioni di fine anno, quando si dovrà decidere il premier, sarà ancora tra i due partiti tradizionali che gli spagnoli sceglieranno, ma a queste elezioni i popolari hanno subìto molte perdite, e alle generali il premier dovrà affrontare un manipolo di candidati che potrebbero quasi essere i suoi figli. Matthew Bennett, direttore del giornale online Spain Report, dice al Foglio che nei prossimi mesi la Spagna seguirà due storie: “Il racconto dei nuovi governi a trazione populista, che non avranno il tempo di dimostrare le loro efficacia e godranno di enorme attenzione da parte dei media, e la storia del tentativo di recupero dei popolari”. Se la parola d’ordine sarà cambiamento, come vorrebbero Podemos e Ciudadanos, Rajoy potrebbe risentirne. Ma il suk dei negoziati che si è aperto ieri soprattutto tra i partiti di sinistra potrebbe mostrare il contrario, che il cambiamento, quando non è accompagnato dalla responsabilità, da solo non basta.
I conservatori inglesi