"State al vostro posto!". Perché Erdogan ce l'ha col Nyt
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“Siete un quotidiano, dovreste stare al vostro posto”. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, a due settimane dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento e del governo, lunedì ha attaccato con violenza il giornale americano New York Times, che la scorsa settimana ha pubblicato un editoriale preoccupato sullo stato della libertà di stampa e in Turchia e sulle tendenze sempre più autoritarie del suo presidente. Il Times riprendeva gli attacchi di Erdogan alla stampa di opposizione, e in particolare al quotidiano Hurriyet, accusato di aver suggerito la condanna a morte di Erdogan per un titolo sull’ex presidente egiziano Mohammed Morsi (Hurriyet ha titolato sulla recente sentenza in Egitto contro Morsi: “Condanna a morte per un presidente che ha ricevuto il 52 per cento dei consensi”. Erdogan ha creduto che fosse un riferimento a lui, che nel 2014 ha ottenuto la presidenza con lo stesso risultato), per dire: “Il paese ha affrontato dure campagne politiche in precedenza, ma questa è particolarmente perversa e l’atmosfera sembra scura e paurosa più del solito. Erdogan sembra sempre più ostile verso chi dice la verità. Gli Stati Uniti e gli altri alleati della Turchia nella Nato dovrebbero esortarlo a deviare da questo cammino distruttivo”.
Lunedì la reazione di Erdogan è stata feroce, il presidente ha molti conti in sospeso con il New York Times, da ultimo un lungo op-ed concesso a febbraio al suo arcinemico, il religioso Fethullah Gülen, e vede il quotidiano dell’establishment liberal americano come il simbolo di quell’opinione pubblica occidentale che dal 2013, dai fatti di piazza Taksim, quando la polizia soppresse violentemente una serie di manifestazioni pacifiche, ha iniziato a considerarlo un leader a rischio di autoritarismo.
Le accuse di Erdogan, trasmesse in diretta televisiva, sono quasi un manifesto programmatico del rapporto tra i media e il presidente turco. “Vi state intromettendo negli affari della Turchia scrivendo questa roba”, ha detto rivolgendosi direttamente al New York Times. “Pubblicando questo editoriale, state superando i limiti della libertà”. Negli ultimi due anni, e con intensità crescente negli ultimi mesi di campagna elettorale, Erdogan ha lavorato molto per raggiungere il suo ideale di una stampa che non si “intrometta” negli affari del governo e non “superi i limiti della libertà”, dove per libertà non si intende quella della stampa, ma quella di agire senza il controllo degli organi di informazione.
La Turchia è da sempre una delle più grandi prigioni di giornalisti al mondo, ma negli ultimi tempi gli attacchi contro la libertà di stampa si sono fatti più sistematici ed efficaci, e il governo ha preso di mira non più i singoli giornalisti, ma i grandi gruppi editoriali, come il gruppo Dogan, che pubblica Hurriyet.
[**Video_box_2**]Alle elezioni del 7 giugno il partito di Erdogan, l’Akp, schiera l’attuale premier, Ahmet Davutoglu, ex ministro degli Esteri diventato primo ministro dopo che Erdogan l’anno scorso si è candidato alle presidenziali. Nonostante una campagna elettorale molto decisa, i sondaggi dicono che i consensi sono in calo: l’istututo Konda dà il partito di Erdogan al 40,5 per cento, contro il 49,8 per cento delle scorse elezioni. Questo significa che l’Akp rischia di non ottenere la maggioranza di 330 seggi al Parlamento, e di dover formare una coalizione per governare. Sarebbe la prima volta in 13 anni di dominio del paese.