Germania senza figli
Mentre i leader dei sette maggiori paesi industrializzati (G7) discutono degli squilibri economici più diversi, dal tasso di cambio al disavanzo commerciale tedesco, il più grave degli squilibri è rimasto fuori agenda: i morti sono più dei nuovi nati. Eppure è un problema grave comune a Italia, Spagna, Francia, Giappone, con preoccupanti conseguenze per la Germania. Nell’economia leader dell’Europa continentale, il tasso di natalità è crollato al livello più basso del mondo e la sua forza lavoro comincerà a precipitare a un ritmo sempre più rapido, superiore a quello del Giappone a partire dal 2020. E’ una seria minaccia per la capacità di sostenere un’economia industriale e di generare reddito. Il think tank World economy institute (Wei) di Amburgo ha rilevato che il numero medio di nascite per ogni mille abitanti è sceso a 8,2 tra il 2008 e il 2013: in cinque anni la crisi demografica, già ampiamente conclamata, è peggiorata. “Nessun paese industriale – dice il Wei – si sta deteriorando a questa velocità nonostante l’afflusso di giovani lavoratori migranti. La Germania non può continuare a essere un polo dinamico nel lungo periodo senza un forte mercato del lavoro”.
Le prospettive sono grame se la quota di tedeschi tra i 20 e i 64 anni scenderà dal 60 per cento di oggi sulla popolazione totale al 50 del 2060. Per allora il governo ha stimato un calo della popolazione di quasi 20 milioni, l’equivalente degli abitanti della Romania. Il saldo positivo dell’immigrazione rispetto all’emigrazione è lontano dal risolvere la prossima penuria di forza lavoro manuale e intellettuale. La ricetta ipotizzata dal Wei di favorire un’immigrazione qualificata è dura da vendere agli elettori che sono molto più attenti alla sicurezza interna che alle dinamiche demografiche. Il 10 per cento delle preferenze ottenuto dal movimento contro l’islamizzazione dell’occidente, Pegida, alle elezioni amministrative di domenica a Dresda, lo testimonia. In certi paesi dell’est, quasi spopolati, per supplire temporaneamente alla carenza di servizi, i cittadini si organizzano con l’autogestione. Ma se la cancelliera Angela Merkel finora è sembrata poco disposta a correggere gli squilibri di cui pure si parla (ieri il premier italiano Renzi ha correttamente ricordato che “il surplus commerciale della Germania, oltre a essere una buona notizia per la Germania, apre anche una serie di problemi”), figurarsi se Berlino vorrà discutere scelte strategiche di cui per ora ci rifiutiamo anche di parlare ai massimi livelli politici.