A colpire è un “musulmano modello”
Unità di fronte ai barbari”, ha titolato nel fine settimana il quotidiano Monde. Sarebbe consolante, se non fosse che i terroristi che hanno colpito in Francia e in Tunisia non erano affatto dei barbari. Erano dei musulmani modello. Seifeddine Rezgui, il terrorista che ha ucciso a sangue freddo quaranta turisti stranieri in una spiaggia in Tunisia, era uno studente esemplare. Frequentava un master in Ingegneria informatica, aveva una fedina penale pulita. Rezgui era il clone di Mohammed Emwazi, il boia dei giornalisti occidentali nel deserto siriano, il figlio della middle class islamica britannica laureato in Informatica. Era un musulmano nato e cresciuto in Francia Yassin Salhi che ha decapitato il suo datore di lavoro. Aveva una moglie e tre figli. “Un ragazzo tranquillo, era un piacere averlo nella moschea, è stato bello”, ha detto Nacer Benyahia, presidente della moschea di Pontarlier, frequentata dal terrorista che ha inneggiato allo Stato islamico.
In Somalia, colpita anch’essa dai terroristi islamici, la primula rossa del jihad è una convertita con cittadinanza inglese, Samantha Lewthwaite, che l’intelligence ritiene abbia sulla coscienza 400 morti. Ha un’istruzione universitaria, è figlia di un soldato di Sua Maestà, era iscritta ad Amnesty International ed era una madre. Studenti con master, figli della fallita integrazione francese, convertiti… Il terrorismo islamico non arriva sui barconi, non è figlio dell’analfabetismo, della povertà, della disuguaglianza. Germina da dentro la democrazia occidentale o dall’alta borghesia del mondo arabo. Sono rivoluzionari che attingono a piene mani dal bagaglio di guerra e sottomissione che risuona, con vigore, dal loro libro sacro. La guerra che hanno dichiarato non è logica, ma teologica.