Sisi alla prova del Sinai
Mercoledì lo Stato islamico in Egitto, sotto il segno del suo gruppo locale, la “Provincia del Sinai”, ha sferrato una serie di attacchi coordinati contro le postazioni delle forze di sicurezza egiziane a Sheikh Zuwaid. Il conto dei militari morti non è ancora ufficiale mentre questo giornale va in stampa, ma potrebbero essere settanta. Si tratta dell’offensiva più grande lanciata dallo Stato islamico contro l’esercito egiziano e viene dopo l’attentato nelle strade del Cairo che ha ucciso il procuratore generale che si occupa anche dei processi agli islamisti. Due anni esatti dopo il rovesciamento da parte dei militari dell’esecutivo dei Fratelli musulmani e del suo presidente Mohammed Morsi – ora condannato a morte – il governo di Abdel Fattah al Sisi e il suo esercito sono alle prese con un’offensiva jihadista virulenta come non si era mai vista.
La campagna militare egiziana contro lo Stato islamico è molto dura e senza esitazioni (i soldati non fuggono, come in Iraq). L’impiego degli aerei F-16 mercoledì nel Sinai per bombardare i guerriglieri islamisti sembra inoltre il risultato del clima di intesa strategica perdurante con Israele, che consente l’invio di uomini e di mezzi pesanti in un’area che in teoria dovrebbe rimanere demilitarizzata. Nel Sinai i giornalisti occidentali non arrivano perché sono tenuti alla larga, segno che il Cairo considera la zona un teatro di guerra piena.
[**Video_box_2**]Eppure, se dopo più di un anno di campagna militare nelle zone aride del Sinai lo Stato islamico ha ancora le forze per montare questa offensiva monstre di Ramadan, vuol dire che qualcosa non funziona. Al Sisi ha in pratica una delega in bianco da parte dell’occidente contro i terroristi, ma deve riuscire a risolvere i problemi in casa. Anche con la politica, considerato che non riesce ancora a portare dalla propria parte i signori del Sinai, i clan di beduini locali che controllano la penisola e senza il cui appoggio ogni operazione militare è vuota di significato. Al Sisi deve provare la sua efficienza nel Sinai per essere considerato ancora di più un alleato indispensabile e un kingmaker quando si parla del problema dei problemi: la Libia.