Dove ci porta il No di Tsipras

Redazione
Gli scenari possibili dopo la vittoria di Syriza. Cosa succederà alla Grecia, come cambierà l’Europa e perché dobbiamo preoccuparci.

Sembra che in Grecia abbia prevalso il No al referendum sul programma di aiuti internazionali. Quello che è certo al momento è che per Atene i prossimi saranno mesi, forse anni, difficilissimi. Rimettere in piedi un Paese, dentro o fuori l’euro, e cercare di renderlo capace di vivere nell’economia europea e mondiale sarà un’impresa gigantesca.

Danilo Taino, Corriere della Sera 5/7

 

Nella prospettiva dell’Europa la situazione non è drammatica dal punto di vista sociale ma lo può diventare da quello politico e finanziario. Con il No al referendum la Bce potrebbe essere costretta a chiudere ogni erogazione di denaro, Atene si avvierebbe a uscire dalla moneta unica e l’Europa dovrebbe affrontare la ricostruzione della fiducia nell’euro, un animale a quel punto diverso da quello di oggi, che si riduce invece di crescere come ha fatto finora. 

Danilo Taino, Corriere della Sera 5/7 

 

La consultazione era stata indetta domenica 30 giugno dal governo di Alexis Tsipras, che aveva rifiutato di accettare le ultime condizioni poste dall’Unione Europea chiedendo alla popolazione di esprimersi, e facendo campagna per il No.

Federico Fubini, Corriere della Sera 5/7

 

Il testo sul quale si sono espressi gli elettori è questo: «Il piano di accordo che è stato proposto dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale nel corso dell’Eurogruppo del 25/06/2015 e comprende due parti che costituiscono un’unica proposta, deve essere accettato? Il primo documento si intitola “Riforme per il completamento dell’attuale programma” e il secondo “Analisi preliminare della sostenibilità del debito”. Non dev’essere accettato/No Deve essere accettato/Sì».

Federico Fubini, Corriere della Sera 5/7

 

Dieci milioni di greci ieri erano chiamati a decidere. Superato senza problemi il quorum del 40% necessario per rendere legale il referendum: alle urne è andato circa il 65% degli aventi diritto. Polemica per il costo del voto: di 40 milioni di euro, cifra significativa per un Paese a rischio default. «Da domani apriamo la strada per tutti i popoli d’Europa. Oggi la democrazia batte la paura» sono state le parole di Tsipars subito dopo aver depositato la scheda nel suo seggio di Atene.

Repubblica.it 5/7

 

Nella notte, dopo la proclamazione dei risultati del referendum, i rappresentanti delle principali istituzioni finanziarie greche si sono riuniti con il ministro Varoufakis e con i funzionari della Banca centrale greca, che ha chiesto ufficialmente alla Bce di alzare il tetto dell’Ela (il programma di finanziamento straordinario). Questa sera Angela Merkel vola a Parigi per discutere degli sviluppi della situazione greca con François Hollande.

Repubblica.it 5/7

 

Il gabinetto di crisi dei fedelissimi di Alexis Tsipras è al lavoro da giorni sul paracadute da aprire per evitare che oggi il paese possa precipitare nel caos. Livini: «Il cerchio magico del premier si è diviso i compiti: il ministro delle finanze Yanis Varoufakis e il capo-negoziatore con la Troika Euclid Tsakalotos – i falchi della squadra – a monitorare il ventre molle di Atene, quelle banche che tra 24 ore rischiano di non aver più banconote da impilare nei distributori dei bancomat. Nikos Voutsis, ministro degli Interni, a vegliare sul voto e a tenere un filo diretto con le forze dell’ordine per garantire l’ordine pubblico. Il vicepremier Yanis Dragasakis e Nikos Pappas, forse l’uomo più vicino a Tsipras in nome di un’amicizia più che decennale, a coordinare i lavori».

Ettore Livini, la Repubblica 5/7

 

Per chi lavora (o investe) sui mercati finanziari sarà un lunedì (e una settimana) molto complicato e nello stesso tempo piuttosto prevedibile. Il risultato del referendum indurrà i listini a rompere verso il basso i minimi primaverili segnati a metà giugno. Gli asset più penalizzati nei prossimi tre mesi saranno i bond governativi dei Paesi euro periferici, le azioni delle banche europee e in generale i mercati azionari europei.

Stefania Peveraro, MilanoFinanza 30/6

 

Un esempio di quanto potrebbe accadere già lo si è avuto lunedì 29 giugno, all’indomani dell’annuncio a sorpresa del referendum. Le borse europee hanno subìto un crollo pesante, con le azioni delle banche che sono state quelle più colpite (in quanto grandi possessori di titoli di Stato). Ma l’onda lunga non ha risparmiato nemmeno i mercati asiatici e Wall Street, con il Dow Jones che quel giorno ha perso poco meno del 2%. Sui mercati obbligazionari, lunedì 29 giugno i rendimenti dei titoli governativi dei Paesi euro più indebitati sono schizzati al rialzo, mentre quelli dei titoli dei Paesi core sono scesi ai minimi, portando a un inevitabile allargamento degli spread.

Stefania Peveraro, MilanoFinanza 30/6

 

Quanto all’Italia, una vittoria dei no renderà più difficile una ripresa già non facile di suo, perché l’inevitabile salita dei rendimenti dei Btp ci sarebbe tutta e quindi, a catena, quello sui rendimenti pagati dalle banche e dalle aziende non finanziarie.  L’esposizione italiana diretta verso la Grecia è talmente bassa da non avere di fatto alcun significato. Conteranno solo gli effetti indiretti, ovvero il timore che l’uscita di un Paese dall’Eurozona possa mettere in dubbio la permanenza degli altri.

Massimo Brambilla, MilanoFinanza 4/7

 

Gli analisti hanno iniziato a fare i conti sui possibili effetti del referendum, innanzitutto sugli spread. Secondo Goldman Sachs, con la vittoria del no il differenziale tra il Btp decennale italiano e il Bund tedesco potrebbe ampliarsi a 200-250 punti, con il rendimento del decennale italiano al 3%.

Francesco Ninfole, MilanoFinanza 4/7

 

Secondo una simulazione di S&P l’aumento dei costi di finanziamento per l’Eurozona nel 2015 e nel 2016 sarà pari a 30 miliardi in caso di uscita della Grecia dall’euro, ma l’aggravio verrebbe distribuito in maniera diseguale, e a registrare l’aumento maggiore in assoluto sarebbe proprio l’Italia: 11 miliardi di euro.

Stefania Peveraro, MilanoFinanza 30/6

 

Tsipras ha però sostenuto che la vittoria del No farà ripartire i negoziati e permetterà di ottenere un accordo migliore per la Grecia. Taino: «Molto difficile: avrebbe il mandato dei suoi elettori ma si troverebbe di fronte, come nei mesi scorsi, 18 governi che hanno il mandato dei loro».

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7 

 

A questo punto Tsipras e Varoufakis però si appellerebbero alle aperture fatte dall’Fmi che ha parlato di un nuovo piano da 50-60 miliardi di euro e della riduzione del debito del 30%. Il premier cercherebbe di migliorare l’ultima offerta ma alla fine dovrebbe firmare in ogni caso un compromesso a Bruxelles in tempi rapidi per permettere alla Bce di riaprire i rubinetti della linea di credito di emergenza (Ela) e salvare le banche boccheggianti. Resta da vedere, se a quel punto, troverà qualcuno seduto dall’altra parte della trattativa disposto a firmare ancora quel piano.

Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 5/7

 

Da Rold: «Se i creditori si rifiutassero sarebbe difficile spiegare il perché a un’opinione pubblica europea sempre più ostile all’euro-burocrazia. Dopo il sì a quel punto Tsipras si ripresenterebbe in Parlamento in Grecia con un piano da 8 miliardi di euro di nuove misure di austerità ma l’ala di sinistra di Syriza dovrebbe votarlo visto l’esito del referendum.

Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 5/7

 

Le regole del Meccanismo di stabilità europeo prevedono due round negoziali. Il primo per stabilire se la richiesta è ammissibile, soprattutto per giudicare se il Paese ha un debito sostenibile (l’Fmi dice di no): fondamentale per avere anche il via libera dei Parlamenti nazionali, a cominciare dal Bundestag tedesco. Poi, inizierebbero le trattative per il nuovo memorandum, per i contenuti veri e propri. Mettendo tutto assieme, i primi fondi europei arriverebbero in Grecia non prima di novembre-dicembre. Tra l’altro, ci sarebbe da stabilire se l’Fmi prenderà parte al terzo salvataggio: Angela Merkel lo vuole, ma la managing director del Fondo, Christine Lagarde, difficilmente parteciperebbe se prima gli europei non tagliassero una parte del debito greco. Il che significherebbe per i governi ammettere davanti agli elettori di avere perso il loro denaro.

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

Da Rold: «Se il parlamento tedesco non dovesse passare il piano, dicono con perfidia i greci, alla Merkel non resterebbe che dimettersi o indire a sua volta un referendum. Sarebbe uno scenario catastrofico perché la Grecia andrebbe fuori dall’euro sotto responsabilità tedesca, realizzando l’incubo, come dice l’ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, di una Germania che in un secolo distrugge tre volte il progetto europeo».

Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 5/7

 

Nel frattempo, l’eurozona avrebbe la necessità di tenere in piedi finanziariamente la Grecia. Il compito sarebbe affidato alla Bce di Mario Draghi, la quale sarebbe immediatamente spinta in prima fila per ridare liquidità di emergenza al sistema bancario ellenico (denaro che poi filtra anche allo Stato). Si tratterebbe di parecchi soldi, viste le uscite improrogabili che Atene deve affrontare: gli esperti calcolano le necessità in almeno 40-50 miliardi. Qualche governatore del suo consiglio potrebbe obiettare che si tratta di finanziamento a uno Stato, vietato dai trattati. Tecnicamente però la Bce lo può fare (ulteriori finanziamenti saranno comunque impossibili oltre il 20 luglio, giorno in cui Atene andrà in default con la Bce stessa).

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

Le banche elleniche riaprirebbero subito, martedì? Improbabile, dicono i tecnici: riaprire gli sportelli è più difficile che chiuderli, se non si presta la massima attenzione una banca può trovarsi insolvente. Funzionerebbe un nuovo piano di aiuti? Dipende naturalmente dal suo disegno. Se fallisse, sia la Grecia sia l’eurozona sarebbero in guai ancora più seri di oggi. Farlo funzionare, però, sarebbe un’impresa gigantesca, visto lo stato della Grecia. Anche per questo, in Europa, qualcuno tifa di nascosto per l’uscita dall’euro.

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

È appunto concreta l’ipotesi secondo cui la Troika potrebbe decidere di vedere il No al referendum come la fine di ogni negoziato possibile e di abbandonare la Grecia al suo destino. A quel punto Bruxelles chiuderebbe le trattative obbligando la Bce a congelare i finanziamenti, sospendendo le linee di credito d’emergenza. Senza un prestito internazionale – che potrebbe anche non arrivare dall’Ue, in una situazione estrema: negli ultimi mesi si sono fatte parecchie ipotesi astratte anche su un ruolo della Russia – la Grecia in poche settimane non avrà più soldi per pagare stipendi, pensioni e servizi, e il suo sistema bancario collasserebbe. È quindi probabile che, con questo risultato referendario, Tsipras dovrà prendere in mano il piano Grexit.

il Post 3/7

 

Sia il premier sia Varoufakis dicono di non avere un piano di uscita dall’euro: altri, a Berlino e non solo, sospettano che lo abbiano in testa da mesi. Il dato di fatto è che, con la vittoria del No alla proposta dei creditori, la Grecia sarà esclusa da ogni programma di salvataggio, ora e in prospettiva: a meno che Angela Merkel, Wolfgang Schäuble, Matteo Renzi, Jean-Claude Juncker e tutti gli altri, compreso François Hollande, non dicessero «siamo stati sciocchi, abbiamo sbagliato tutto».

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

In ogni caso, senza più alcuna fonte di entrate, gli istituti di credito sarebbero in bancarotta in poco tempo. Taino: «A meno che la banca centrale greca, su ordine del governo, non iniziasse a stampare una sorta di valuta parallela all’euro, in pratica cambiali circolari a uso interno. In qualche modo, l’euro potrebbe essere usato per regolare transazioni estere, ma è difficile dire per quanto tempo, a meno di interventi come il default totale sui debiti o il prelievo forzato sui conti correnti».

Danilo Taino, Corriere della Sera 5/7

 

Scrive Fubini che «Varoufakis ha già parlato a Tsipras del suo progetto, in piena contraddizione con la promessa di entrambi che la Grecia resterà nell’euro. L’idea è quella di un nuovo “veicolo monetario” parallelo, solo in teoria convertibile alla pari con l’euro, ma necessario per ricapitalizzare le banche e permettergli di riaprire prima che ad Atene scoppi una rivolta. “Ucrainizzazione” è il modo in cui Varoufakis definisce quest’ultimo scenario, e per evitarlo si sta studiando come funziona il Bitcoin (la moneta online)».

Federico Fubini, Corriere della Sera 2/7

 

La nuova moneta è destinata a deprezzarsi rispetto all’euro (alcuni dicono fino al 50%) e dunque dipendenti e pensionati pagati in dracme più o meno ufficiali vedrebbero ridotto il proprio potere d’acquisto rispetto ad ampie categorie di beni e servizi provenienti dall’estero. Sfortunatamente l’economia greca – che non ha una componente manifatturiera orientata all’esportazione – non avrebbe la possibilità di beneficiare della nuova situazione in termini di recupero di competitività e gli unici vantaggi concreti sarebbero per il turismo. Inoltre i debiti internazionali della Grecia rimarrebbero in euro, così come le cifre da pagare per ottenere energia e comprare beni dall’estero.

Luca Cifoni, Il Messaggero 3/7

 

Nulla quindi esclude che in tutto questo l’economia del paese continui a peggiorare, tanto da rendere necessario a un certo punto l’avvio di un negoziato per un nuovo prestito internazionale, e tornare daccapo. Alla base di tutta questa situazione ci sono cose che prescindono dalla moneta: il cattivo stato di salute dell’economia greca, che esporta pochissimo, ha un’enorme evasione fiscale e un altissimo tasso di disoccupazione.

il Post 3/7

 

I meno pessimisti calcolano una perdita di Pil del 10% in un anno. Forse, poi riprenderebbe con un po’ di vigore, come successe all’Argentina dopo il 2001. Ma Buenos Aires poté contare sulle materie prime, al tempo in pieno boom di prezzi: Atene non può.

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

Probabilmente la Grecia rimarrebbe formalmente nell’eurozona anche se fosse costretta a emettere una valuta parallela. Non ci sono meccanismi per espellerla e i governi e la Bce preferirebbero forse tenerla apparentemente agganciata sia per ragioni politiche (non farla cadere tra le braccia di Russia e Cina) sia per sperare di recuperare, un giorno, un po’ del denaro che le hanno prestato. Si aprirebbe un periodo estremamente complicato non solo dal punto di vista politico ma anche da quelli legale e tecnico.

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

Taino: «Dal punto di vista dell’eurozona, la perdita di un Paese, per quanto più politica che strettamente economica, creerebbe un precedente al quale i 18 a quel punto dovrebbero rispondere. Non solo per dire – cosa vera – che la Grecia è un caso unico: soprattutto per dimostrare che da questa crisi hanno imparato qualcosa. Sarebbe il lato positivo del No: ma nemmeno questo è scontato».

Dan.Ta., Corriere della Sera 5/7

 

 

a cura  di Francesco Billi  e Luca D’Ammando