Il contagio del terrore in Turchia
Alcuni giovani curdi di Suruç, una cittadina al confine tra Turchia e Siria, cantavano, preparavano i loro slogan, si stavano organizzando per la grande avventura, che è insieme riscatto e simbolo di resistenza: andare a ricostruire Kobane, l’enclave curda in Siria conquistata dallo Stato islamico e poi liberata dopo mesi di scontri (e tormenti di coscienze occidentali). All’improvviso è scoppiata una bomba dentro al centro culturale – c’è il video, agghiacciante – e sono morti circa 30 ragazzi, pezzi di corpi ovunque, dicono i testimoni, mentre si cercava di capire la dinamica: un attacco suicida (c’è chi dice di una donna) o bombe nascoste nelle ceste e negli zaini? Non c’era un attentato così feroce in Turchia da almeno due anni, e se dovesse essere confermata la paternità dello Stato islamico, come dicono alcune fonti, si tratterebbe del primo attentato in terra turca da parte del gruppo di al Baghdadi.
“Il terrorismo non ha religione, non ha paese, non ha razza”, ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Nel pomeriggio Erdogan ha detto che i morti sono 28, ma nel frattempo il numero delle vittime è salito ad almeno trenta, i feriti sono circa un centinaio. Non ci sono state rivendicazioni, ma il premier Ahmet Davutoglu ha detto che lo Stato islamico è il primo sospettato per l’attentato, e per il governatore della regione, Abdullah Ciftci, “il fatto che si sia trattato di un attacco suicida aumenta la possibilità che lo Stato islamico sia responsabile”. “Pensiamo che l’autore fosse una donna”, ha detto alla Bbc in turco, “le prime indagini mostrano che avrebbe agito da sola”. Il giornale turco Hurriyet ha scritto che la terrorista era una donna di circa 18 anni, ma la notizia non è stata confermata.
L’attacco di Suruç è il primo caso evidente di contagio della guerra siriana in Turchia, e questo apre molte questioni oltre che per la coalizione internazionale a caccia di una strategia efficace anche per Erdogan, e per il suo approccio da sempre tanto ambiguo nei confronti del conflitto nello stato vicino e del sostegno al terrorismo. I due paesi condividono quasi mille chilometri di confine, e Ankara ha nei giorni scorsi bloccato il via vai di islamisti arrestando centinaia di persone. La reazione sulla rete di molti gruppi terroristici è stata immediata: ci vendicheremo. Questa potrebbe essere la vendetta, e anche l’inizio di una nuova fase della guerra. Dopo l’attentato Davutoglu, scrive Reuters, ha promesso più mezzi sul confine e controlli ancora più stringenti, ma l’opposizione sta già accusando il governo di non aver risposto ai molti avvertimenti sulla possibilità di attacchi.
[**Video_box_2**]Questo è il secondo attacco in soli due mesi che coinvolge una manifestazione politica curda, dopo che il 5 giugno, due giorni prima delle elezioni generali, una bomba esplose durante un comizio elettorale del partito curdo Hdp a Diyarbakir, mentre il leader Selahattin Demirtaş si preparava a parlare. “Questo attacco era annunciato fin dalle esplosioni a Diyarbakir”, ha detto durante una conferenza stampa uno dei leader dell’Hdp. Abbiamo condiviso con il governo informazioni secondo cui organizzazioni come lo Stato islamico stavano formando cellule terroristiche nella regione. E’ responsabilità del governo prendere precauzioni che riguardino la sicurezza e l’intelligence, ma questo sfortunatamente non è avvenuto. Il ruolo della Turchia, così poco decifrabile soprattutto quando ci sono di mezzo i curdi, deve essere definito, altrimenti contenere lo Stato islamico sarà ancora più difficile.