Sinistra vs Uber
Roma. Durante il suo tour elettorale, pochi giorni fa, Jeb Bush ha preso una macchina di Uber per recarsi a San Francisco a fare un discorso sulle potenzialità della sharing economy. Dopo la corsa, i giornalisti hanno intervistato l’autista che ha accompagnato Jeb, e lui ha detto che sì, il viaggio con il candidato repubblicano è stato gradevole, ma alle elezioni del 2016 lui voterà Hillary Clinton. Peccato che Hillary non abbia affatto in programma di usare il car sharing in campagna elettorale, e che anzi veda Uber con un certo sospetto. Nel suo primo discorso programmatico sull’economia, la settimana scorsa, Hillary ha detto che la sharing economy può “sviluppare l’innovazione”, ma “solleva questioni gravi sulla protezione del posto di lavoro e sull’aspetto che avrà un buon lavoro nel futuro” – non proprio un endorsement. Questo è un pattern generalizzato. Mentre in America i repubblicani esprimono entusiasmo per la sharing economy, i democratici se ne tengono alla larga. Nel fine settimana un altro esponente del Partito democratico, il sindaco di New York Bill de Blasio, ha scritto in un editoriale sul Daily News che vuole bloccare la crescita di Uber in città finché non ci saranno più garanzie per le categorie protette. Si può estendere il discorso all’Europa, dove Uber e Airbnb combattono con il governo socialista francese e con altri, e la questione diventa evidente: la sinistra ha un problema con la sharing economy, e davanti alle sfide e alle innovazioni di Uber i politici progressisti rispondono rispolverando il populismo.
Non è difficile capire perché la sharing economy entusiasmi i politici repubblicani: la disintermediazione di Uber, in cui due soggetti fanno business in un quadro di libero mercato e senza intromissioni da parte del governo, è un modello economico quasi perfetto per la destra americana. E dai tour di Jeb Bush a Rand Paul che propone per Washington il “modello Uber” a Ted Cruz che dice che la sua campagna elettorale sarà “disruptive” come Uber lo è stato per i mercati tradizionali, in campo repubblicano è tutta una rincorsa all’economia della condivisione. Per i democratici il discorso è più complesso, perché le categorie insidiate da Uber, Airbnb e Lyft spesso sono sindacalizzate e votano a sinistra, e soprattutto perché davanti a una forza che cerca di deregolamentare a suon di libero mercato dei business fortemente regolati, il primo impulso politico della sinistra è bloccare la novità e ripristinare i vecchi lacciuoli. Il problema non riguarda soltanto la sharing economy. In un editoriale pubblicato ieri sul Wall Street Journal, William McGurn scrive che quando non si parla di economia e mercato del lavoro è l’idea stessa di innovazione a spaventare la sinistra, a tirare fuori l’Elizabeth Warren che alberga anche nei più moderati tra i politici – Warren è l’esponente principale della sinistra dura e populista americana, ma il concetto può essere esteso: la sharing economy e l’innovazione tirano fuori l’Alexis Tsipras che alberga in ogni politico di sinistra europeo. Da New York a Parigi, Uber può creare quanti posti di lavoro vuole (10 mila nella città di De Blasio), ma il suo spirito di disintermediazione per la sinistra è un problema che deve essere risolto dal governo, con nuove regole. E’ come se la sinistra, anche la più moderata, nutrisse un impulso atavico a tassare e regolamentare, e questo impulso esplodesse a contatto con la sharing economy.
[**Video_box_2**]Come al solito, Uber risponde colpo su colpo agli attacchi, dopo le critiche di Clinton ha emesso un comunicato per spiegare come la compagnia aiuti gli spostamenti degli “americani che invecchiano” (il riferimento maligno è a nonna Hillary), e sta facendo una campagna televisiva durissima contro i provvedimenti di De Blasio. Eppure i primi a stupirsi della guerra della sinistra sono i manager di Uber, che come il ceo Travis Kalanick hanno spesso sostenuto politiche democratiche. Come per il driver di Jeb che vota Hillary, fiducia malriposta.