Bolle e dolori
Roma. Sono passati quasi quaranta giorni dalla candidatura e la bolla Donald Trump non è ancora scoppiata. E’ solo questione di tempo, si dicono tutti, vedi che adesso si affloscia, senti che dichiarazioni, si sta scavando la fossa da solo. Quando Donald Trump, miliardario che ha iniziato nell’edilizia e poi ha fatto fortuna “mettendo il suo nome su qualsiasi cosa”, come si legge sui giornali americani, uomo simbolo del populismo dissennato e urlatore, si è candidato dopo anni di tentennamenti, tutti hanno pensato a uno scherzo di breve durata, più una trovata pubblicitaria che un progetto politico. Ma dopo quasi quaranta giorni il pallone gonfiato è più tronfio che mai, sicuramente parteciperà al primo dibattito televisivo dei repubblicani, previsto per agosto e ospitato dalla Fox, e c’è perfino il rischio che vi partecipi come front-runner del partito. E mentre tutti i commentatori, i politici di ogni schieramento, i giornalisti e perfino persone di discreta influenza come Rupert Murdoch assicurano tranquilli che il successo di Trump è semplicemente un’allucinazione estiva, si vede che i loro sorrisi sono un po’ più tirati, e certamente la bolla scoppierà, ma con quali conseguenze per il campo conservatore alle elezioni del 2016? Perché se Trump è primo nei sondaggi anche dopo la bufera su John McCain, anche dopo aver detto, sabato scorso, che l’eroe di guerra McCain, veterano pluridecorato del Vietnam, non è così eroico, perché in fondo “si è fatto catturare”, e io preferisco chi non si fa catturare, inizia a essere chiaro che con Trump c’è un problema.
McCain, che è stato candidato repubblicano alle elezioni del 2008, è rimasto per sei anni prigioniero durante la guerra in Vietnam, dopo che il suo aereo è stato abbattuto in campo avverso. Ancora oggi non riesce ad alzare le braccia per le torture subite, ha dovuto lottare per non tradire i suoi compagni e non impazzire per il dolore, ha resistito, oggi è un simbolo dell’eroismo americano, e insultare lui è un po’ come insultare tutti i veterani d’America, come violare un tabù. Ma quando i giornalisti hanno chiesto a Trump se si voleva scusare lui ha pestato più duro, ha detto che in decenni di politica McCain non ha mai fatto niente per i veterani. Adesso sì che Trump è fottuto, hanno pensato tutti, ma poi sono usciti i sondaggi e sembra che nemmeno insultare i veterani possa affossarlo, la bolla scoppierà al prossimo scandalo, c’è tempo, ne combina quasi uno al giorno.
[**Video_box_2**]Mercoledì Politico ha dato un’occhiata dentro al circo di Trump e raccontato chi è il “lanciatore di bombe” che organizza la sua campagna elettorale. Si chiama Corey Lewandowski ed è un uomo che da quindici anni è in rotta col partito, attacca da sempre i “repubblicani da country club” che pensano al golf e non ai comizi, adora usare metodi non ortodossi per attirare l’attenzione e questo l’ha reso un paria, uno perfetto per Trump, a cui nessun professionista della politica a Washington avrebbe mai offerto i suoi servigi, pena la rovina definitiva della sua futura carriera. Trump e Lewandowski sono così simili, racconta Politico, che si vestono uguale e gli insider dicono scherzando che i due si sono conosciuti su Match.com, un sito di incontri. E’ Lewandowski la mente dietro alle sparate populiste, razziste, insensate di Trump, e i due sono fatti l’uno per l’altro, perché Trump è l’unico candidato abbastanza incosciente da dire certe oscenità senza vergognarsi. Fino a pochi giorni fa, immaginare che dietro alla campagna ci fosse una “mente” oltre all’egomania era difficile da credere, ma adesso che Trump ha nei sondaggi il doppio dei consensi di Jeb Bush (24 vs 12 per cento, e la quotazione di Trump era a 28 prima dello scandalo McCain), si inizia pure a parlare di strategia.
Dalle piazze ai palazzi