La disinformazione di Putin e le distanze atlantiche sull'Ucraina
La crisi in Ucraina, l’annessione russa della Crimea, la guerra mai del tutto finita tra il governo di Kiev e i ribelli dell’est, le sanzioni imposte a Mosca hanno messo alla prova in molte occasioni la forza d’intenti degli alleati della Nato. Seppure ufficialmente tutti i paesi partner sostengano le sanzioni allo stesso modo, e tutti siano solidali con il governo ucraino di Petro Poroshenko, esistono interessi divergenti e differenze di vedute tra la durezza a distanza dell’America, le preoccupazioni dell’Europa occidentale per la perdita in Mosca di un partner economico e geostrategico notevole, e il timore dei paesi ex sovietici di essere il prossimo obiettivo dell’espansionismo russo. Queste divisioni, che pure sono sopite e finora non hanno incrinato l’unità della strategia della Nato, sono esattamente ciò che Vladimir Putin desidera, potrebbe dire John E. Herbst, ambasciatore americano in Ucraina fino al 2006, direttore del Dinu Patriciu Eurasia Center all’Atlantic Council, che oggi ha tenuto al Centro studi americani di Roma un seminario dal titolo “Exposing Russian disinformation in the 21st century”.
Herbst parla duramente della politica putiniana non solo in Ucraina, ma in tutto l’est Europa, che per lui è un unico campo d’azione in cui Putin cerca di stabilire una “sfera di influenza” come al tempo dell’Unione sovietica: prima la Georgia, poi l’Ucraina dell’est e così via. Parla di disinformazione, della propaganda continua trasmessa dai media russi e su internet, e cita la Maskirovka, la tecnica militare dell’inganno e della guerra psicologica di cui i sovietici erano maestri e che Vladimir Putin ha rispolverato. Ma poi estende il campo, e partendo da quelle che lui definisce la bugie della Russia (le divide per temi: la crisi ucraina come reazione all’espansione a est della Nato; la giustificazione indiretta dell’intervento russo fornita dalle invasioni americane di Iraq e Afghanistan e dalle campagne di bombardamento più recenti; il tentativo russo di isolare il conflitto, e di mostrare un volto disponibile negli altri teatri internazionali; l’idea che russi e ucraini siano lo stesso popolo; le critiche alla corruzione del governo di Kiev) chiede “politiche più dure contro Putin”, come se le sanzioni e l’isolamento internazionale non bastassero, più truppe Nato nei paesi ex sovietici, e nuove misure di deterrenza contro l’avanzata russa verso occidente.
E’ qui che il seminario al Centro studi americani diventa un piccolo esempio degli attriti impercettibili, ma presenti, nelle relazioni tra partner. Perché quando arriva il momento del dibattito tra i molti intervenuti, la visione monolitica di Herbst viene frazionata dagli infiniti distinguo che rispecchiano le preoccupazioni italiane ed europee. C’è chi fa notare che il discorso di Herbst non sembra prevedere una risoluzione pacifica del conflitto, chi parla di due Russie da non trascurare, chi ricorda che sul deal iraniano è stato lo stesso presidente Obama a ringraziare Putin. Silenziosa, la deputata del movimento Cinque stelle Marta Grande, membro della commissione Esteri che nei mesi scorsi ha tenuto in Parlamento discorsi in cui le informazioni dei media filogovernativi russi sembravano riportate senza filtri, si guarda intorno e stringe le labbra. Qualcuno bisbiglia in sala, e dice che il ragionamento di Herbst non è accettabile per una platea europea.
[**Video_box_2**]I toni della conversazione non si accendono mai, non si sfiora nemmeno la polemica, ma le differenze non sono trascurabili, soprattutto quando dopo un giro di interventi (tra cui quello del deputato Pd e membro della commissione Esteri Vincenzo Amendola sul paragrafo 11 del trattato di Minsk 2, quello che parla della riforma in senso federalista dell’Ucraina dell’Est), Herbst arriva a dire che è “cieco” chi non vede le vere mire di Putin, e che in Europa c’è chi pensa di “sacrificare l’Ucraina” sull’altare della stabilità internazionale. Sono d’accordo con Herbst l’ambasciatore polacco Tomasz Orlowski, per cui federare l’Ucraina significa trasformarla in una “nuova Bosnia”, e il rappresentante del governo di Kiev. Ma dall’afoso seminario romano, le differenze tra la cautela europea e l’irruenza americana si notano.
L'editoriale del direttore