Contro l'antisemitismo inglese
Quell’accento britannico che spesso accompagna i racconti, si fa per dire, della ferocia islamista, i video e la propaganda assassina, è una delle ferite culturali più vivide che la guerra allo Stato islamico ha lasciato, per ora, nel Regno Unito e in Europa. Se si aggiunge l’effetto che nel continente – e nel mondo – ha avuto l’assalto di gennaio in Francia, lo stermino a Charlie Hebdo e quello nell’épicerie kosher, si capisce perché l’ultimo report sull’antisemitismo stilato dalla polizia ha suscitato grande preoccupazione in Inghilterra. Londra, l’area di Manchester, il Merseyside, le West Midlands il West Yorkshire hanno registrato gli aumenti più significativi di episodi di antisemitismo: secondo il Community Security Trust, l’aumento è stato del 53 per cento nei primi sei mesi dell’anno, comparati con lo stesso periodo dell’anno scorso. Ma soltanto a Londra c’è stato un aumento del 137 per cento nel 2014-2015: 459 episodi, prima erano 193, e più di uno su dieci riguarda episodi violenti (gli altri sono molestie, incendi, danni).
Il ministro dell’Interno, Theresa May, ha detto che l’antisemitismo non ha spazio nel Regno Unito, “chi cerca di seminare odio antisemita è bene che sappia che il governo agirà contro tutti coloro che vogliono dividere questo paese”. E il governo, con il gran discorso del premier Cameron, ha già annunciato quel che vuol fare, per combattere quell’ideologia islamista che genera violenza e antisemitismo: più attenzione ai ragazzi, lavorare per chi vuole riformare l’islam e combattere chi predica odio. Soprattutto dimostrare, con le esperienze personali e la cultura, che no, non c’è nessun fascino nell’ammazzare un ebreo.
L'editoriale dell'elefantino