Jeb rilancia la Reaganomics
Tra i tanti candidati alle presidenziali americane del 2016 e le loro molte singolarità, è ben difficile sentir parlare di politica e politiche specifiche, un po’ perché è presto, un po’ perché ci si perde nei pettegolezzi sulle rivalità interne, le crisi e le strategie comunicative. Jeb Bush, che con lo zampino di Trump è stato coinvolto più in diatribe sulla vivacità della propria candidatura che su altro, ha invertito la tendenza e mercoledì ha tenuto un discorso sulla riforma delle tasse che ha avuto, come ha sottolineato trionfante il Wall Street Journal, un grande effetto rinfrescante. Jeb vuole investire sulla crescita e sull’innalzamento dei salari con un approccio reaganiano, cioè tagliando le tasse.
La Reaganomics aggiustata con le sensibilità dell’ex governatore della Florida prevede: un taglio delle tasse sull’individuo portando l’aliquota massima dal 39,6 al 28 per cento; un taglio delle tasse alle aziende dal 35 al 20 per cento, l’eliminazione di altre tassazioni sugli immobili, la possibilità per le aziende di spendere subito i loro investimenti in capitali, raddoppiare le deduzioni standard ed espandere i crediti d’imposta. Si tratta di un taglio complessivo di 3.400 miliardi di dollari in tasse nei prossimi dieci anni: tasse più basse ai ricchi, tasse più basse ai poveri, e meno tasse per le aziende. Così Jeb vuole raggiungere il suo obiettivo di crescita, che ha posto a un livello ambiziosissimo, il 4 per cento, un ritmo da meravigliosi anni 90, cioè dopo la cura reaganiana all’economia americana. I liberal sono già sul piede di guerra, ma avranno un bel daffare a inventarsi un’alternativa valida per stimolare la crescita.