Pure i francesi dicono: “Soldati in Siria”
Dalla guerra al terrorismo islamista e dunque dalla risoluzione con i “boots on the ground” della crisi in Siria passa il destino non solo del medio oriente ma anche dell’Europa alle prese con centinaia di migliaia di profughi in fuga dalla violenza. E’ un’idea che si sta diffondendo non solo tra analisti e certi governi illuminati, si veda quello conservatore britannico di David Cameron, ma anche tra l’opinione pubblica. In Francia, per esempio, dove un sondaggio pubblicato pochi giorni fa sul Journal du Dimanche ed eseguito dall’agenzia Ifop mostra che la maggioranza dei francesi, il 56 per cento, è favorevole a inviare i soldati in Siria nell’ambito di una coalizione internazionale. I francesi erano gli stessi che nel 2003 manifestarono con durezza contro l’intervento americano in Iraq.
Oggi invece esprimono una posizione più avanzata di quella del loro governo, che ha annunciato la sua partecipazione ai bombardamenti in Siria per ora solo con funzioni di intelligence; o di quello di Roma che si è detto contrario a “misure spot”, e perfino del governo inglese, dove Cameron sta almeno cercando di rovesciare il voto dei Comuni che nell’agosto del 2013 bloccò gli strike in Siria – e fece crollare inoltre le già poco bellicose intenzioni dell’America obamiana. Uno dei parlamentari che sostenne quel voto, Daniel Hannan, ha scritto sul Washington Examiner che quello del 2013 fu un errore enorme che aprì la strada a una crisi umanitaria gigantesca e all’ascesa dello Stato islamico. Abbiamo temuto che gli strike avrebbero peggiorato le cose, dice Hannan, ma la situazione è degenerata oltre ogni immaginazione: bisogna agire adesso, con i bombardamenti e creando delle zone sicure per i rifugiati. Anche con gli scarponi sul terreno.