Vladimir Putin e Barack Obama

Europa bla-bla, Obama from behind e Putin

Redazione
Il vaniloquio non è una politica estera. Idee per non restare a inseguire

L’America ieri ha ufficializzato l’apertura a colloqui sul piano militare con la controparte russa per domare la crisi siriana. Mosca ha ostentato i suoi boots on the ground in medio oriente due settimane fa e, dopo alcune veline colme di stupore fatte filtrare da Washington soprattutto a uso interno, si è conquistata un posto alla luce del sole e da protagonista nella stabilizzazione dello scacchiere mediorientale. Da notare la sequenza: prima i boots on the ground (un misto di armamenti pesanti, logistica e probabilmente un discreto numero di militari per puntellare il regime di Damasco), poi l’attovagliamento con Washington in vista del prossimo incontro alle Nazioni Unite. Nessun esito è scontato, ma per qualche momento può tornare utile scindere – almeno in via teorica – da una parte la figura del presidente Vladimir Putin, e dall’altra il metodo proprio della politica estera di Mosca. A proposito di Putin, per esempio, si può ricordare che fu proprio il suo veto, unito a quello di Papa Francesco, a frenare nel 2013 l’attacco contro il dittatore Assad, ipotizzato allora da un Barack Obama indeciso a tutto. Senza oscurare la matrice ideologico-religiosa e tutta interna al medio oriente dello Stato islamico che oggi imperversa tra Siria e Iraq, di quella scelta paghiamo ancora gli effetti. Sempre a proposito di Putin, si deve ragionare senza ingenuità sul putinismo che in Russia forse gli sopravviverà, scrive lo storico Walter Laqueur.

 

A più stretto giro, meglio concentrarsi sulla politica estera di Mosca. Secondo l’establishment del Cremlino – ha scritto l’esperto britannico d’intelligence Alastair Crooke – la Siria non è tanto l’anello più debole, quanto l’anello più strategico di un medio oriente in cui le crisi – statuali, sociali, economiche – hanno iniziato a manifestarsi “tutte in una volta, tutte insieme”. C’è dell’altro sotto la patina di machismo e anti americanismo di Putin: infliggere in Siria una sconfitta militare e psicologica all’islamismo in armi, per Mosca, è il modo più diretto per evitare un effetto contagio nelle Repubbliche centro asiatiche e direttamente in Russia. Non fa una grinza, o sicuramente ne fa meno del disastroso “leading from behind” di Obama visto all’opera in Libia e un po’ tra Siria e Iraq. All’appello manca ancora l’Europa, maestra di “interdipendenze” e “integrazione” sul proprio continente, ma poi paralizzata dal vaniloquio diplomatico e paraonusiano quando occorre tracciare un nesso tra le migliaia di disperati che bussano ai confini, i rigurgiti terroristi nelle sue città e il vulcano islamista a un tiro di schioppo.

 

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