L'ombelico dell'Europa accogliente
La retorica fatta apposta per non scavare alla radice dei problemi accompagna in Italia il summit di Bruxelles che ha ripartito le quote di rifugiati tra i paesi dell’Unione europea. Un esempio è Laura Boldrini che vi scorge “il bisogno di Stati Uniti d’Europa”. Il fatto è che la Ue ha agito, e doveva farlo, in condizione di affanno, tra divisioni e prese di distanza, altro che “grande risultato” come chiosava Boldrini durante la trasmissione Omnibus su La7. Oltre al “no” di Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Ungheria (paesi già sotto il tallone comunista che oggi vengono liquidati come razzisti), si registrano l’astensione della Finlandia e l’“opt-out”, la clausola di non partecipazione, esercitata dal Regno Unito.
Non ci si è mossi dunque per convinzione né in nome di un comune obiettivo futuro; la materia non è stata sottoposta ad alcun referendum, che avrebbe dato esiti nefasti, e finora neppure al “sì” dei Parlamenti nazionali: si può parlare di Stati Uniti d’Europa senza coinvolgere i popoli e i loro rappresentanti? Poi da noi il fronte dell’accoglienza coincide in larga parte con quello che tifava Tsipras e rifiuta le responsabilità della moneta unica, a cominciare dall’obbligo di ripagare i debiti. Come possono esistere i diritti senza doveri in una federazione di stati? Ma anche sugli immigrati lo vedremo presto, quando dopo aver accolto i profughi si dovrà decidere una linea comune per rimandare a destinazione i fuggiaschi economici. Finora la politica tipica dell’Onu, il mondo dal quale viene la Boldrini, non ha né assunto responsabilità sulle dittature che generano miserie e repressione (i regimi che eleggono i vertici delle Nazioni Unite), né tantomeno risolto problemi; anzi spesso li ha aggravati.
L'editoriale del direttore