Il tribunale dell'antirazzismo militante
La presidente del Front national, Marine Le Pen, il 20 ottobre comparirà davanti al tribunale di Lione per le frasi pronunciate sulle “preghiere nelle strade” dei musulmani. Per la prima volta Le Pen deve rispondere davanti a un giudice dell’accusa di “incitamento all’odio razziale”. Nel dicembre 2010 si era scagliata contro le “preghiere nelle strade” dei musulmani, paragonandole all’occupazione nazista della Francia durante la Seconda guerra mondiale. A trascinare in tribunale la leader francese è la crème dell’antirazzismo militante, come quel Collettivo contro l’islamofobia vicino a Tariq Ramadan. E’ lo stesso sistema giuridico francese che ha processato Michel Houellebecq, Oriana Fallaci e Charlie Hebdo.
Se consentiamo alle autorità di mettere un prezzo alle parole di un giornalista o di un leader politico, per quanto drammatiche possano essere, non c’è modo di sapere quali opinioni saranno sanzionate in futuro. “Una opinione può essere falsa, sciocca, malsana, pericolosa, ma non può essere considerata un crimine, a meno che non credi nell’esorcismo”, ha giustamente scritto l’editorialista del Figaro Ivan Rioufol, lui stesso vittima della caccia alle streghe “islamofobe” nei tribunali di Parigi (ieri è stato assolto dalla stessa accusa Eric Zemmour). Il processo alla Le Pen è il punto di congiunzione tra una visione illiberale di tipo sovietico e l’ideologicamente corretto. Houellebecq, Fallaci e Charlie in tribunale se la sono cavata, ma non è la condanna il problema; il problema è il processo stesso, il diritto dello stato di processare le idee e l’immaginazione.
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