Se pure Leon vuole intervenire in Libia
L’inviato speciale dell’Onu per la Libia, lo spagnolo Bernardino Leon, sta da mesi cercando di far firmare un accordo tra il governo riconosciuto di Tobrouk guidato dal generale Haftar (che il New York Times definisce “maverick”) e il governo di rivoluzionari e islamisti che controlla Tripoli. Sono stati fatti passi significativi e nelle ultime settimane molti osservatori hanno iniziato a ben sperare: la bozza d’accordo è arrivata nei rispettivi parlamenti, non si era mai andati tanto avanti nelle trattative. Ma ora che si deve arrivare alla decisione finale ed è necessario decidere chi si occuperà di far funzionare il piano negoziato – chi smantella le milizie, chi si occupa di governare il dialogo istituzionale, chi fa rispettare la road map – l’ottimismo è già svanito. “Abbiamo paura delle armi”, ha detto Shammam, il direttore dell’agenzia di stampa libica Alwasat, “vogliamo garanzie dalle persone che stanno gestendo questo accordo”. Cioè la comunità internazionale, che di vertice in vertice e bi-trilaterali continui (ieri sera ancora a Parigi, ma l’Italia non è stata invitata) ancora non ha deciso se mandare una forza di peacekeeping, o qualcosa di più belligerante, come vorrebbero molti, soprattutto i paesi vicini come la Tunisia, che vedono avanzare lo Stato islamico con forza mentre la “shuttle diplomacy” prende e perde tempo. I toni sono diventati più aggressivi anche da parte di chi da un anno ripete aspettiamo-l’esito-dello sforzo-diplomatico-in-corso.
Il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha detto che chi non valuta l’opzione militare, naturalmente concordata, “si esclude dalla comunità internazionale”. Da Tobrouk arriva un ultimatum: entro il 21 ottobre bisogna accordarsi, altrimenti il generale Haftar annuncerà lo stato d’emergenza che è come dire che scoppia la guerra. Lo stesso Leon, il tessitore al quale è appesa la speranza di stabilità della Libia, ha fatto capire, in un articolo pubblicato da Politico Europe, che l’invio di truppe non può più essere escluso, che una soluzione negoziata altrove e gestita dall’alto degli aerei non è una soluzione. Che è un po’ la morale di tutti questi anni di frammentata, tentennante e inefficace guerra al terrorismo.