Quel silenzio sull'Iran
L’altra faccia dell’Iran, dietro al trionfalismo per l’accordo nucleare con Obama, è quella legata al consolidarsi delle repressioni sanguinarie nel regime degli ayatollah. L’esito dei negoziati con Teheran che porterà all’eliminazione progressiva delle sanzioni economiche ha infatti fatto passare in secondo piano il (non) rispetto dei diritti umani da parte del governo del presidente Hassan Rohani. In mezzo ai dibattiti geopolitici sulle conseguenze del patto atomico con l’Iran in medio oriente, gli ayatollah sono rimasti quelli di sempre e la macchina della repressione del regime non si è mai fermata, anzi, ha aumentato il lavoro. Ma la stampa che osanna il nuovo clima d’intesa e la scelta obamiana per ora ritiene trascurabile il fatto che non sono migliorate le libertà per la popolazione. Il presidente iraniano è descritto come un moderato riformista devoto al miglioramento di quelli che lui chiama “i diritti dei cittadini”, e gode di credito in tutti i campi per avere aperto al dialogo con l’occidente.
Il World Report 2015 sulla vita in Iran appena pubblicato dallo Human Rights Watch spiega che la situazione in Iran non è migliorata durante il governo Rohani, anzi. Continua la persecuzione delle minoranze religiose, soprattutto di quella di fede Bahá’i e ora “le forze di sicurezza e di intelligence hanno accentuato la repressione dei convertiti al cristianesimo, le minoranze protestanti di lingua persiana e le congregazioni evangeliche”, in nome della “sicurezza nazionale”. Negli ultimi due anni sono aumentate le condanne a morte, estese anche a reati comuni come il possesso di droga. Ma la situazione peggiore tocca alle donne iraniane delle fasce meno abbienti della popolazione, che vivono in una “quasi assenza di diritti”: negli ultimi due anni sono aumentati gli attacchi con acidi e gli stupri. La risposta di Teheran all’emergenza, come ha segnalato sul sito Quartz il professore iraniano Ramin Ahmadi, è stata quella di “dare maggiori poteri ai funzionari di polizia”. Un nuovo impulso allo stato di polizia iraniano.
Si tratta di dati non rilevanti per gli entusiasti del deal, ma sono una ragione per non fidarsi della capacità di (non) cambiamento di Teheran, o almeno per fidarsi meno di Obama.
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