Obama cambia idea sull'Afghanistan e non si ritira più
Nella quarta stagione di “Homeland”, serie tv americana che è anche un trattato di politica estera, un capo della Cia dice che “la guerra in Afghanistan non è una guerra lunga 14 anni, ma una guerra di un anno ripetuta per 14 volte”, in cui ogni volta sono stati commessi gli stessi errori, una specie di eterno ritorno in cui le strategie sono misurate sulla base delle emergenze del momento. Per questo la notizia secondo cui l’America non ritirerà le sue truppe dall’Afghanistan come previsto e come il presidente Obama annuncia praticamente dalla sua prima campagna elettorale, ma lascerà nel paese 5.500 uomini fino al 2017, delegando al prossimo presidente la responsabilità di chiudere il conflitto, suona come la mossa di un’Amministrazione che fa la cosa giusta, ma solo perché assalita suo malgrado dalla realtà.
Il piano iniziale di Obama prevedeva il dimezzamento dei 9.800 soldati attualmente presenti in Afghanistan nel 2016, e l’anno dopo un ritiro quasi completo che avrebbe lasciato mille soldati nell’ambasciata americana di Kabul. Questo avrebbe provocato l’abbandono delle basi nel resto del paese (quella di Bagram a nord di Kabul, quella di Kandahar a sud e di Jalalabad a est), essenziali per le operazioni di antiterrorismo e per i voli dei droni. Ma annunciare il proprio ritiro da un paese non ancora pacificato significa semplicemente settare la data per il ritorno del caos, che era già ricominciato, lo scorso mese, con la presa da parte dei talebani della città di Kunduz, centro strategico e simbolico, per non parlare del fatto che anche lo Stato islamico ha ormai delle basi salde sul territorio. Così Obama è stato costretto a ritirare il ritiro delle truppe. La realtà ha messo un freno alla retorica, e ai propositi di porre fine troppo frettolosamente alla guerra globale contro il terrore.