La colpevole menzogna del “disagio”
Hasna Aitboulahcen, francese, 26 anni, prima jihadista a farsi esplodere in Europa: ottime scuole, era imprenditrice. Abdelhamid Abaaoud, la mente del 13/11 ucciso anch’egli a Saint-Denis, belga, era un rampollo della ricca borghesia musulmana. Ottimi studi. Non era un disagiato sociale Jihadi John. Non sono disagiati sociali – magari psichici, ma è un’altra cosa – molti dei foreign fighters partiti per il Califfato. Non era un disagiato sociale, a dire il vero, nemmeno il patriarca di tutti i tagliagole: Osama bin Laden. E’ dall’11/9 delle Torri che ci portiamo dietro la stessa mistificazione, la stessa incapacità di vedere. Molti da allora ripetono che l’origine della guerra islamista risiede nella diseguaglianza economica e nell’ingiustizia, che crea orde di disperati odiatori. Quando hanno dovuto ammettere che parte di questi “odiatori da povertà ed emarginazione” erano nati o cresciuti tra noi, spesso in buone condizioni, la leggenda si è un poco modificata, allargata.
Verso sinistra: è il disagio sociale, che causa non integrazione. Persino il nostro ministro della guerra, Roberta Pinotti, dice all’Espresso che “c’è il disagio sociale, la povertà, tra i cittadini di origine straniera nelle città europee e nei paesi in cui non hanno di che vivere e cercano il sostegno economico del Califfato”. Erano inaccettabili fraintendimenti allora. Dovuti a pregiudizio politico, a sociologia male imparata. Si può anche sottolineare che le galere (attenti, pure quelle italiane) siano oggi un brodo di coltura per il jihadismo. Ma sostenere che siano povertà e disagio e non scelta ideologica o religiosa a muovere i terroristi, accodandosi ai Tariq Ramadan per i quali il problema è la “giustizia sociale”, è soltanto una tragica, colpevole cazzata.
Dalle piazze ai palazzi