Madrid e lo Stato islamico
Il presidente francese François Hollande chiede all’Europa un salto di qualità nella guerra allo Stato islamico dopo gli attacchi di Parigi, e l’Europa, come suo solito, risponde in ordine sparso. Con l’eccezione della Francia, che affronta le regionali la seconda settimana di dicembre, la Spagna è l’unico altro alleato europeo che deve conciliare la necessità di un impegno maggiore contro il terrorismo con un test elettorale, le elezioni generali del 20 dicembre. Quello spagnolo è un esperimento pilota per capire come i governi possono sostenere la causa di una guerra giusta davanti a un’opinione pubblica, quella europea, da sempre tendente al pacifismo a tutti i costi, e per ora non sta andando bene.
Gli spagnoli sono contrari a un intervento deciso del proprio paese in medio oriente: la Spagna, va ricordato, dopo gli attentati del 2004 a Madrid si ritirò dalla coalizione internazionale in Iraq temendo ritorsioni, con ampio consenso di popolo. E anche oggi il governo, a un mese da elezioni che saranno le più combattute da un decennio, teme di giocarsi la riconferma insistendo sulla guerra al terrorismo. Il premier Mariano Rajoy ha escluso ogni forma di “boot on the ground”, e perfino il “piano B” del governo, aumentare il contingente in Mali e in Repubblica Centrafricana per alleggerire le forze francesi sul fronte africano (rivelato dal País, parzialmente confermato da alcuni ministri), è stato prontamente disconosciuto dopo l’attacco jihadista all’hotel Radisson a Bamako lo scorso venerdì. Il premier Mariano Rajoy è diventato un leader in Europa per la sua capacità di fare scelte impopolari e necessarie in campo economico, ma ora valuta con la lente del calcolo elettorale decisioni che da questo calcolo dovrebbero prescindere. Su questo, l’Europa è perfettamente in linea.
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