Una lezione dall'intelligence del Marocco
Ieri nella storia del disastro dell’intelligence francese raccontata dal Wall Street Journal era nascosta un’altra storia più piccola, che vale la pena raccontare, perché rende bene l’inevitabile clima di ambiguità morale in cui ci muoviamo in questi anni di rivoluzioni arabe e di guerra e terrorismo. La polizia francese non aveva la più pallida idea che Abdelhamid Abaaoud, star della propaganda dello Stato islamico apparsa in tanti video beffardi, fosse nascosto a Parigi. L’ha scoperto grazie a una soffiata che è arrivata dal Marocco, che ha anche spiegato ai francesi che a Parigi viveva la cugina di Abaaoud – che, è saltato fuori, era tenuta già d’occhio per spaccio, ma di cui s’ignoravano i collegamenti con lo Stato islamico. Fatto due più due, i francesi sono andati dritti a casa della cugina a Saint Denis e lì hanno aperto lo scontro a fuoco che ha ucciso entrambi, il jihadista e la donna.
Ora, la collaborazione in materia d’intelligence con il Marocco era finita nel 2012 perché i francesi rimproveravano al regno di avere la mano troppo pesante e di non rispettare i diritti umani. Il presidente francese Hollande era poi andato a Rabat nel 2014 a ricucire i rapporti, e a ripristinare la collaborazione tra le due intelligence. Chissà, se i marocchini non avessero alzato il telefono, i parigini sarebbero ancora chiusi nelle case come a Bruxelles. E’ un discorso molto scivoloso, che investe il rispetto/non rispetto dei diritti umani, la durezza con il terrorismo, le lezioni morali (a basso costo), l’identità europea. Però è meglio che non scompaia così, tra le altre notiziole e cronache del jihad.