Le radici dell'odio tra Erdogan e Putin
La sfida fra Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin sulla sorte di Bashar al Assad rischia di degenerare in scontro militare fra Stati. Colpa dell’abbattimento sul confine siriano del Sukhoi 24 russo da parte degli F-16 turchi, martedì scorso.
Maurizio Molinari, La Stampa 25/11
Nicola Lombardozzi: «E dire che appena due mesi fa tutto sembrava marciare in direzione opposta. Un entusiasta Erdogan, ospite d’onore all’inaugurazione della grande moschea di Mosca, aveva detto a Putin di voler raddoppiare gli scambi commerciali tra i due Paesi. L’accordo in vigore dal 2009 per un corridoio doganale agevolato alle due frontiere sembrava sul punto di essere perfezionato con una zona franca. Così come pareva vicina una moltiplicazione delle vendite di armi russe alla Turchia, tra cui, ironia della sorte, anche missili anti aerei».
Nicola Lombardozzi, la Repubblica 27/11
Dopo l’abbattimento del jet e l’uccisione del pilota russo, Erdogan ha provato a ricucire. Ha sospeso i voli militari di Ankara in Siria e vorrebbe incontrare Putin faccia a faccia oggi al vertice Onu sul Clima a Parigi. Ma il capo del Cremlino ha detto che non gli parlerà finché non arrivano le scuse turche. «Non scherzi col fuoco», la replica di Erdogan. In Russia i media parlano di «battaglia tra Imperi».
Francesco Battistini, Corriere della Sera 28/11
Russia e Turchia sono in realtà due imperi molto differenti. La Russia è una repubblica semipresidenziale federale, con una superficie di oltre 17 milioni di chilometri quadrati e una popolazione di quasi 144 milioni di abitanti. La Turchia invece è una repubblica parlamentare con una superficie di 780.000 km quadrati e una popolazione di circa 75 milioni di persone. Meno evidente però lo squilibrio sul piano militare: l’esercito russo può contare su un milione di soldati e una spesa di 72 miliardi di dollari l’anno (il 3,3% del Pil), quello turco è composto da più di 750 mila uomini, con un investimento di 22,6 miliardi di dollari (il 2,7% del Pil - dati Sipri 2014).
L’economia russa è in piena recessione: l’ultimo trimestre ha registrato una contrazione del 4,1%, dato dovuto in buona parte alle sanzioni occidentali e al calo del prezzo del greggio. L’economia turca invece è in crescita dell’1,3% nell’ultimo trimestre e, per fine anno, si stima un +3,8%.
Nicola Lombardozzi, la Repubblica 27/11
Come siamo arrivati allo scontro di oggi? Ricorda Maurizio Molinari: «Alla radice della contrapposizione fra Erdogan e Putin ci sono i rispettivi progetti strategici che ruotano entrambi attorno ad Assad, ma con ambizioni regionali opposte. Ankara vuole rovesciare il Raiss per trasformare la Siria in uno Stato sunnita guidato da gruppi islamici portatori dell’ideologia dei Fratelli Musulmani, che coincide in gran parte con la piattaforma del partito Akp di Erdogan, al fine di generare una sfera di influenza neo-ottomana nel Medio Oriente segnato dall’implosione degli Stati arabi. Ovvero gettare le basi di un Sultanato di Erdogan sulla regione. Putin invece vuole salvare Assad per ottenere una vittoria, politica e militare, capace di assegnare alla Russia un ruolo da Zar del Medio Oriente sfruttando l’indebolimento Usa».
Maurizio Molinari, La Stampa 25/11
In questa storia a tre ci sono di mezzo anche due minoranze, i curdi e i turcomanni. Bernardo Valli: «Gli americani usano i curdi come fanteria. Nessun Paese occidentale o arabo vuole impiegare soldati a terra. Le loro aviazioni si servono in particolare dei curdi, i quali stanno acquistando prestigio e indirettamente l’appoggio, che col tempo potrebbe diventare un diritto, per arrivare a creare un proprio Stato nella futura Siria. La quale si annuncia come una federazione. Questa prospettiva non va certo a genio al governo turco che combatte i curdi in patria e nei paesi vicini, temendo che possano affermarsi. I turchi accusano i russi di dirigere i loro bombardamenti soprattutto sui ribelli impegnati contro il regime di Assad e aiutati da Ankara. In particolare le comunità turcomanne».
Bernardo Valli, la Repubblica 25/11
I turcomanni nel Nord della Siria sono l’etnia più fedele ad Ankara. Vivono nelle stesse regioni abitate dai curdi, con cui si contendono spazi e anche rivendicazioni politiche. In Siria sarebbero poco meno del 10% della popolazione totale. Roberto Tottoli: «I governi turchi, al di là dei confini, hanno sempre avuto un occhio particolare per loro. Erdogan vede nei turcomanni i suoi naturali alleati. L’intento neppure nascosto di queste attenzioni è sempre quello di frenare le rivendicazioni curde ovunque esse siano, e quindi anche in Siria».
Roberto Tottoli, Corriere della Sera 25/11
Erdogan d’altronde ha stravinto le elezioni facendo leva sul nazionalismo, sulla paura degli attentati e sul pericolo che i curdi minaccino l’integrità territoriale del Paese. Alberto Negri: «Difende soprattutto la sua politica spericolata che in questi anni lo ha portato a far passare migliaia di jihadisti dal suo confine per abbattere Assad e proporsi come il vero leader dei musulmani del Levante. Al punto da intrattenere rapporti ambigui con l’Isis spingendosi a bombardare i curdi quando combattevano contro il Califfato. Ha bisogno di una rivincita in Siria dopo aver visto crollare al Cairo, con il colpo di stato di Al Sisi, l’alleato Morsi: è lui, Erdogan, che si propone come la versione “autentica” e vincente dell’Islam politico».
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 28/11
Anche Putin spinge sul nazionalismo. Ancora Negri: «Con l’intervento militare in Siria Mosca torna a essere un arbitro della sorti di interi popoli e nazioni e bilancia la potenza americana in una regione dove gli Stati Uniti hanno iniziato, e non finito, direttamente due guerre, Afghanistan e Iraq, a una serie di altri conflitti locali lanciati sotto l’egida della guerra al terrorismo. Ora si permette non solo di esibire forza aerea e missilistica ma ha già impiegato sul terreno le forze speciali».
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 28/11
Putin accusa la Turchia di rifornire i «terroristi» in Siria con carichi di armi e ha ordinato di bombardare i camion che attraversano il confine. Per il governo di Ankara si tratta invece di convogli che trasportano aiuti umanitari: è la stessa spiegazione che il presidente Erdogan ha fornito in maggio quando il giornale Cumhuriyet ha rivelato, con tanto di foto, che i tir sarebbero stipati di armamenti per i ribelli turkmeni, gli stessi che sparavano ai due piloti russi mentre scendevano con il paracadute.
Davide Frattini, Corriere della Sera 28/11
La Russia molto probabilmente non si metterà in guerra contro la Turchia anche perché, come detto, Ankara ha un esercito di poco inferiore al suo ed è la seconda potenza militare della Nato dopo gli Stati Uniti. È difficile che Putin pensi a un attacco armato, anche se il Parlamento russo su questo punto sembra pronto a dare il via libera.
Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 28/11
La risposta russa alla Turchia potrebbe invece risultare estremamente dura in termini economici. Mario Deaglio: «Una parte importante del futuro sviluppo economico turco si gioca infatti nell’Asia ex-sovietica, ossia in Paesi in cui l’influenza politico-economica di Mosca continua a essere molto rilevante. L’espansione commerciale di Ankara potrebbe essere abbastanza facilmente bloccata da un’azione congiunta russo-cinese con un prevedibile inasprimento delle tensioni interne del Paese. Va inoltre considerato che il programma di costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti mediante i quali gli idrocarburi provenienti dalla Russia arriveranno nei prossimi decenni sui mercati europei è stato da poco modificato in senso favorevole alla Turchia. Potrà la Turchia davvero sbattere la porta in faccia a questo tipo di futuro, dopo che l’ingresso nell’Unione Europea le è stato di fatto negato?».
Mario Deaglio, La Stampa 26/11
Antonella Scott: «L’impatto si farà sentire. “Un colpo da 44 miliardi di dollari”, ha titolato il portale russo di informazione economica Rbk. Quei 44 miliardi sono un modo per quantificare la posta in gioco nel confronto tra russi e turchi: Mosca è il secondo partner commerciale di Ankara, un interscambio pari a 31 miliardi di dollari nel 2014, e a 18,1 miliardi per i primi nove mesi del 2015. Considerando anche il settore dei servizi, la cifra sale appunto a 44 miliardi».
Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 26/11
Prime conseguenze concrete dello scontro per il jet abbattuto: dal 1° gennaio tutti i turchi che vanno in Russia dovranno avere il visto; si chiudono le importazioni agricole; sono interrotte tutte le joint venture energetiche (per esempio i lavori per la centrale nucleare di Akkuiu); saranno rivisti anche gli appalti per la moschea in Crimea; soprattutto sono sospesi i contratti nell’edilizia. Le imprese turche avevano lasciato agli italiani le costruzioni di lusso, e agli stessi russi quelle popolari, pigliando per sé il settore intermedio, assai lucroso. Putin adesso li ha tagliati fuori.
Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 28/11
Troncare del tutto i legami economici non converrebbe a nessuno dei due Paesi. Ancora la Scott: «Mosca è il principale fornitore di gas della Turchia, che importa dai russi il 60% del fabbisogno annuo. E la Turchia, dopo la Germania, è il secondo cliente di Mosca. Su 50 miliardi di metri cubi da Gazprom ne arrivano 30. Senza contare il passaggio al nucleare, che Ankara ha affidato in buona parte ai russi: nel 2013 la Turchia ha commissionato alla russa Rosatom la sua prima centrale, quattro reattori e un progetto da 20 miliardi, il più grande progetto comune. “Perdere la Turchia – disse Erdogan lo scorso ottobre – sarebbe una seria perdita per la Russia”. E viceversa».
Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 26/11
Apertura a cura di Luca D'Ammando