Il fallimento di Dilma
L’inizio delle procedure di impeachment della presidente del Brasile Dilma Rousseff, autorizzato mercoledì sera dal presidente della Camera Eduardo Cunha per un’irregolarità nella legge di bilancio, non ha rallegrato nemmeno il più acerrimo nemico di Dilma, il liberale Aecio Nieves, sconfitto alle elezioni dell’ottobre 2014.
L’impeachment, che deve essere confermato dalla maggioranza qualificata del Parlamento e poi passare per varie fasi, è frutto di una guerra politica tra Dilma e Cunha, eminenza grigia della politica brasiliana che ha autorizzato la procedura (c’erano 28 richieste d’impeachment pendenti) proprio nei giorni in cui rischia di finire in prigione per una questione di fondi neri in Svizzera. Se l’impeachment dovesse proseguire, molti mesi di instabilità politica attendono il Brasile. Ma il fallimento di Dilma al governo è stato così macroscopico che anche il frutto di un intrigo di palazzo potrebbe non costituire il peggior risultato per il paese. Questa settimana l’ente statistico nazionale ha previsto un crollo del pil del 4,5 per cento su base annua e rivisto al ribasso tutte le statistiche economiche, certificando la peggiore crisi in ottant’anni.
[**Video_box_2**]Crisi che è frutto di un fallimento storico profondo, testimonianza di una regressione del Brasile non solo in economia, ma anche nel suo status internazionale. Fino a cinque anni fa il paese era considerato un modello capace di contendere alla Cina e all’India il dominio del nuovo mondo multipolare, ma oggi di quel modello resta solo il fantasma. Hanno contribuito alcune cause esterne, come il crollo del prezzo delle materie prime, ma soprattutto l’incompetenza di Dilma, incapace fare le riforme e troppo debole per applicare le misure di austerity che sarebbero necessarie. Per gli analisti del fondo di risparmio inglese Schroeders, un’uscita di scena anticipata della presidente potrebbe essere la “migliore soluzione” per il Brasile. Meglio secondo legalità, e senza ricatti politici.