La vita difficile del prossimo primo ministro libico
Quello che è successo venerdì in Libia potrebbe diventare la sceneggiatura istantanea di un piccolo pezzo di teatro, meglio: teatrino, per spiegare cosa accade nel paese africano. Breve, succoso, disperante. Vediamo. Il primo ministro designato del prossimo governo, Faiez Serraj, è andato nella cittadina di Zliten a portare le proprie condoglianze perché un terrorista suicida dello Stato islamico due giorni prima s’era presentato ai cancelli della locale accademia di polizia con una finta autocisterna d’acqua chiedendo dove poteva parcheggiare (risultato: quasi 70 morti, l’attentato più grave della storia libica). Serraj ha ricevuto più o meno una buona accoglienza, ma sulla strada del ritorno il suo convoglio ha preso un paio di proiettili, mentre si dirigeva verso l’aeroporto di Misurata. Inoltre, una milizia locale risentita gli ha sbarrato la strada al posto di blocco di Dafniya e non voleva più farlo partire. Negoziati frenetici tra lo staff del primo ministro incombente e la milizia armata, il gesto di buone public relation di Serraj rischiava di diventare un disastro: che figura avrebbe fatto se non fosse riuscito più a tornare alla sede provvisoria – che nemmeno è in Libia, è a Tunisi? Nel trambusto, lo Stato islamico ha capito l’impasse per così dire istituzionale, ha deciso di uccidere il primo ministro ancora prima che diventi ufficialmente tale e ha mandato una finta ambulanza verso il convoglio, pare. Il guidatore è stato però intercettato e ucciso prima che arrivasse al convoglio bloccato.
Non si sa come Serraj sia uscito dallo stallo, alcuni dicono persino che un elicottero straniero (italiano) sia venuto a prelevarlo, pietà dal cielo, e lo abbia portato all’aeroporto di Misurata, da dove poi è volato verso Tunisi. Il governo di Tripoli ora lo vuole denunciare per ingresso illegale in Libia – tenere conto che Serraj in teoria comanda il governo che dovrebbe cominciare a funzionare domenica 20 gennaio, tra meno di due settimane. Le milizie di Misurata intanto hanno cacciato il gruppo che ha bloccato il convoglio, ma è di poca consolazione. Morale: se anche la metà dei dettagli che sono trapelati è vera, il primo ministro del governo di “Accordo nazionale” riesce a malapena a tornare da una visita sul luogo di un attentato senza essere arrestato o assassinato. L’Italia sta facendo del suo meglio per ricomporre i pezzi della Libia, il ministro Gentiloni ieri ha telefonato a cinque-sei ministri degli Esteri arabi, e un nostro aereo militare è atterrato a Misurata per prelevare quindici feriti gravi (dal camion bomba di Zliten) da portare in Italia – un intervento che dimostra l’appoggio e l’utilità della comunità internazionale – ma sembra un’acrobazia diplomatica. Ci sono forze profonde che stanno remando contro. Se il puzzle non riesce, toccherà pensare a un piano B: combattere lo Stato islamico mentre la Libia prova a darsi un governo, senza più attendere di muoversi a governo insediato.
L'editoriale dell'elefantino