Il triste presagio degli ebrei d'Europa
Un giovane islamista ha aggredito a colpi di machete un insegnante ebreo che portava la kippah a Marsiglia. “Ho agito per Allah e per lo Stato islamico”, ha dichiarato l’attentatore, fermato poco dopo dalla Police Nationale. Tranquilli: il procuratore che segue il caso, Brice Robin, ha detto che l’islamista non sembra essere affetto da disturbi psichici. “Le motivazioni non lasciano dubbi”, ha scandito il presidente Hollande, deplorando l’ennesima “aggressione antisemita”. Non ci voleva un genio per capirlo. Eppure, le notizie quotidiane di attacchi contro gli ebrei in Europa meritano sempre meno spazio sui giornali. Come se fossimo assuefatti alla dose quotidiana di antisemitismo spicciolo, a fari spenti. La settimana scorsa una cosa simile era successa in Inghilterra. “Senza gli ebrei, la Francia non sarebbe la Francia”, ha detto il premier Valls alla commemorazione dell’attentato all’Hyper Cacher.
Verissimo. Soltanto che sta avvenendo: gli ebrei stanno lasciando la vecchia Europa. Solo nello scorso anno diecimila ebrei francesi hanno fatto le valigie alla volta di Israele e altri paesi. Nella comunità ebraica c’è un senso di impotenza e di triste presagio: “E’ vero, in Israele ci sono gli attacchi con i coltelli. Ma almeno laggiù il governo israeliano è con noi. Qui il governo dorme”, ripetono gli ebrei a Parigi e altrove. Vanno prese seriamente le parole della moglie di uno dei kamikaze del Bataclan, Kahina Amimour: “Fino a quando continuerete a offendere l’islam e i musulmani sarete dei potenziali obiettivi, non solo i poliziotti e gli ebrei, tutti”. La Francia è il grande test, perché ospita la più vasta e vitale comunità ebraica d’Europa. E gli islamisti, i loro “compagni di viaggio” europei, sembrano avere la meglio. Almeno per ora. Come va per gli ebrei, va per tutti noi.