L'illusione dell'America post partisan
Nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, Barack Obama ha parlato del futuro, ha messo il suo operato in una prospettiva storica, non si è perso nell’analisi del passato o nelle pieghe dell’agenda politica di giornata. Però uno dei “pochi rimpianti della mia presidenza”, ha spiegato , “è che il rancore e il sospetto fra i partiti sono peggiorati invece di migliorare”. L’affermazione merita approfondimento. Come tutti, Obama ha fatto tante promesse, alcune le ha mantenute altre no, ma la grande promessa nascosta dietro ogni piccola promessa era quella di portare l’America fuori dalla partigianeria, dalla guerra per bande, dalla faziosità e dalla polarizzazione. Obama prometteva di introdurre la nazione in una felice èra post partisan, quella in cui non c’è l’America bianca e nera, democratica e repubblicana, ricca e povera, solo l’America tout court.
Ammettere che rancore e sospetto prevalgono significa che il centro del vasto programma dell’obamismo s’è afflosciato, tocca fare un più terragno bilancio con il pallottoliere. Una certa diminutio per il presidente che s’era messo sulla strada dei padri fondatori, ossessionati dall’idea della prevalenza della logica delle fazioni sulla sacra unità della nazione. Gli scritti di Madison traboccano di attacchi alle fazioni e Washington ne parla a lungo nella sua lettera d’addio. Obama si è presentato sette anni fa come restauratore in chief dell’unità nazionale frammentata, questa era la sua vocazione dichiarata. L’altra sera, in un discorso al solito prolisso e onusto di emotività, ha ammesso che la promessa dietro tutte le promesse non è stata mantenuta.
L'editoriale dell'elefantino