Perché non possiamo fidarci dell'Iran
Sabato scorso Stati Uniti, Europa e Nazioni Unite hanno sollevato le sanzioni economiche imposte a partire dal 2006 contro l’Iran, segnando il completamento del deal nucleare firmato a luglio 2015 tra Teheran e il gruppo dei 5+1. La decisione arriva dopo che gli ispettori nucleari dell’Aiea hanno ritenuto che l’Iran abbia rispettato gli impegni presi di smantellare buona parte del suo programma nucleare, e sbloccherà circa 100 miliardi di dollari in asset iraniani, oltre a consentire il ritorno del paese nel consesso economico internazionale. Contestualmente è avvenuto anche uno scambio di prigionieri, con Teheran che ha rilasciato cinque americani, compreso il reporter del Washington Post Jason Rezaian, e Washington che ha rilasciato 7 iraniani condannati per crimini legati alle sanzioni.
Il presidente americano Barack Obama ha salutato gli eventi di sabato come un successo; il suo omologo iraniano Hassan Rohani ha detto che “tutti sono felici” per l’accordo “tranne i sionisti, i guerrafondai che cercano di fomentare una guerra settaria tra le nazioni islamiche e i falchi al Congresso americano”. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, però, ha detto oggi che il deal nucleare non cambia il ruolo di Israele, che continuerà a vigilare affinché “l’Iran non ottenga l’arma atomica”. Ci sono buone ragioni per non abbassare la guardia sull’Iran, come fa Netanyahu: ecco alcuni articoli pubblicati dal Foglio nelle ultime settimane, che spiegano bene perché non è possibile fidarsi di Teheran.
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