La politica delle percentuali
Hillary Clinton e Bernie Sanders si stanno scontrando su chi è più legittimato, tra i due, a meritarsi l’etichetta di “progressista” e la discussione si incancrenisce sulla famosa questione dei privilegi dell’1 per cento ricchissimo che domina gli Stati Uniti. La retorica di Occupy Wall Street è di nuovo potentemente sulle prime pagine dei giornali, con Sanders che si candida, oltre che per la Casa Bianca, a leader postumo di quelle tendopoli, conquistando un seguito straordinario tra i giovani (che in quelle tende si accamparono), e Hillary in difficoltà che para i colpi con scarsa efficacia. La questione della diseguaglianza, che in questi anni è stata sezionata da molti economisti e politici, è dominante negli Stati Uniti come nell’Europa che ieri ha accolto un nuovo movimento internazionale animato dall’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, e i suoi fan. Cass Sunstein, guru dell’economia comportamentale, autore del celebre libro “Nudge” e grande amico del presidente Barack Obama, spiega su Bloomberg View che “il progressismo americano è stato lacerato in questi anni da due approcci concorrenti per ridurre la diseguaglianza. Il primo si concentra sull’1 per cento dei ricchi; il secondo sul 10 per cento dei più poveri”.
Nella campagna elettorale in corso, i candidati democratici si muovono esclusivamente secondo i termini del primo approccio, “e sbagliano entrambi”, dice Sunstein. La gara su chi saprà meglio controbilanciare il potere di Wall Street – gara che Sanders al momento vince a mani basse mettendo in grande difficoltà la Clinton – non è detto che possa poi davvero portare un beneficio sul fronte della diseguaglianza. Anzi. “Aumentare le tasse ai più ricchi non fa molto per aiutare i più poveri”, scrive Sunstein, ma “se attacchi l’1 per cento, ottieni l’applauso entusiasta di molti democratici che stanno nel 99 per cento. Questo applauso tende ad ammutolirsi, anche tra i democratici, quando chiedi di studiare politiche per il 10 per cento più povero del paese”. Ci sarebbe anche una terza via, molto diversa da quella prospettata da Varoufakis, ma al momento ignorata. Riguarda le sfide di molti americani “che non sono più poveri, ma che continuano a patire per i salari stagnanti e le bollette da pagare. Ci sarebbe tanto da fare per loro, ma il progressismo dell’1 per cento non lo fa”.