Soltanto quando lo dico io
La crescita anemica, dopo anni di recessione e stagnazione, è il primo male dell’Europa contemporanea. Tuttavia, con buona pace degli accapigliamenti in materia di flessibilità fiscale (italiana) o export eccessivo (tedesco), una crisi sistemica potrebbe stavolta manifestarsi ancora prima su altri fronti. Politica migratoria, politica energetica e politica estera sono i tre dossier, intrecciati, su cui concentrare l’attenzione. Seguendo l’atteggiamento non sempre lineare della cancelliera tedesca Angela Merkel, leader indiscusso del continente.
Alla vigilia del vertice di oggi, Merkel ha ribadito che è prioritario “avere una posizione comune” sulla gestione delle frontiere: “Vogliamo proteggere le nostre frontiere esterne”. Intanto però una teoria di parole e fatti punta in un’altra direzione, ben meno rassicurante agli occhi dei partner europei: l’apertura indiscriminata ai rifugiati in fuga dalle guerre mediorientali, annunciata da Berlino la scorsa estate e non opportunamente gestita, ha generato reazioni domestiche di chiusura, ma solo dopo aver travolto e rottamato le consuete pratiche di controlli alla frontiera nei paesi che si trovano sul tragitto tra Turchia e Germania. Dunque oggi è più difficile, seppure non impossibile, convincere i partner europei della necessità di redistribuire in tempi rapidi i rifugiati già presenti in Italia e Grecia, oltre poi a centinaia di migliaia aggiuntivi fra quelli che la Turchia dovrebbe trattenere. Si vedrà.
Nell’attesa, si rialzano le frontiere, per chi le possiede (non l’Italia, con le sue lunghe coste). L’Austria da 48 ore ha annunciato di voler militarizzare i valichi di confine con il sud, quindi anche con il nostro paese, sospendendo di fatto Schengen.
Ieri il cancelliere di Vienna, Werner Faymann, si è detto convinto che presto Merkel potrebbe seguire. D’altronde, come registrato negli scorsi giorni su queste colonne, esponenti politici tedeschi di tutti i partiti hanno rispolverato la retorica dei “compiti a casa” che Grecia e Italia non farebbero, ipotizzando subito dopo una “mini Schengen” con Austria e Svezia. A quel punto è facile immaginare l’effetto di una minima ripresa degli sbarchi, già in corso a dire il vero. Per usare le parole di Oliver Georgi sul quotidiano conservatore Faz, l’Ue in questo modo si avvicina rapidamente al “punto di rottura”.
[**Video_box_2**]Legittimo chiedersi, specie a Roma, se gli allarmi lanciati negli scorsi anni dal governo italiano sulla “risposta comune” (che solo dallo scorso settembre Merkel invoca) non potessero essere ascoltati prima. Né aiutano a dissolvere i dubbi le recenti uscite merkeliane anti-sanzioni alla Russia (dopo aver dipinto solo a dicembre Matteo Renzi come uno scolaretto irrequieto) o il perseguimento di una politica energetica tedesco-centrica (ieri lo sosteneva il New York Times, non Palazzo Chigi, riportando indiscrezioni del dibattito comunitario in corso). Muoversi in base al motto “soltanto quando lo dico io”, oggi, è ricetta miope, anche se viene da Berlino.