“Mutilazione sì, in piccole dosi”
Vietare la mutilazione genitale femminile è “culturalmente insensibile e suprematista”. Non lo dice un tribunale islamico che cerca di imporre la sharia, ma due ginecologi americani che hanno appena pubblicato uno studio sul Journal of Medical Ethics, una delle riviste specializzate più importanti del settore, diretta da un austero professore di Oxford. La pratica della mutilazione genitale femminile, cui sono state sottoposte, secondo stime dell’Onu, oltre 200 milioni di bambine e ragazze in oltre 30 paesi soprattutto tra il medio oriente e l’Africa, è considerata da sempre in occidente un rito dell’orrore da vietare e perseguire in ogni modo. Ma questo approccio, scrivono i due ginecologi il cui paper ha sollevato una grossa disputa, rischia di non essere rispettoso delle tradizioni religiose e culturali.
Meglio allora consentire delle mutilazioni (anzi, delle “alterazioni”) “minime” e poco dannose, che tengano buoni gli estremisti soprattutto islamici di tutto il mondo. Questo, dicono gli esperti, consentirebbe di evitare che certi atti di orrore contro le bambine siano fatti in clandestinità, e poco importa se concederebbe l’avallo implicito a una pratica barbara. Quella del Journal of Medical Ethics più che una proposta è una testimonianza di quanto profondi siano gli abissi che può raggiungere il senso di colpa dell’uomo occidentale.
L'editoriale dell'elefantino