Il velo islamico è una forma di terrorismo "passivo"?
Quando nel 2011 la Air Force Research Laboratory statunitense – la divisione scientifica delle forze aeree americane – ha pubblicato lo studio "Contrastare l'estremismo violento: metodi scientifici e strategie", lo Stato islamico non aveva ancora mostrato il suo volto più sanguinoso all'occidente. Nel luglio del 2015 gli studiosi del laboratorio di ricerca hanno aggiornato il documento alla luce dell'evoluzione della minaccia dell'estremismo islamico. Si tratta di una serie di contributi da parte di accademici e ricercatori, militari e funzionari dell'intelligence, che fanno un ritratto pragmatico e concreto dell'antiterrorismo [scarica qui tutto il documento]. Quattro le sezioni: la prima descrive l'estremismo violento così com'è attualmente; la seconda sezione prova a dare una strategica road-map della prevenzione dell'estremismo; la terza sezione descrive i possibili metodi di "delegittimazione" del sostegno popolare all'estremismo; la quarta sezione affronta il problema della deradicalizzazione. Un paio di settimane fa la piattaforma online Public Intelligence ha reso accessibile a tutti il documento.
The Intercept ha rilanciato lo studio con un articolo di Murtaza Hussain, che ironizza in particolare su un intervento, quello titolato: "Un piano strategico per sconfiggere l'islam radicale". L'autore è il dottor Tawfik Hamid, medico egiziano, una voce piuttosto nota nel riformismo islamico. E' stato membro del gruppo terroristico al-Gama'at al-Islamiyya, ed è l'autore del libro "Inside Jihad: How Radical Islam Works; Why It Should Terrify Us; How to Defeat It". Per le sue idee sulla libertà d'espressione e progressiste, per la sua vicinanza e difesa di Israele, Hamid è stato costretto a lasciare l'Egitto e trasferirsi in America, dove vive ormai da più di vent'anni.
Ma cosa c'è di tanto sbagliato nell'intervento del dottor Hamid, secondo il giornale dei paladini dell'informazione libera? Il medico del Cairo ed ex estremista islamico spiega che il velo sulle donne, nell'islam, è una delle tre componenti che contribuisce a quella che viene definita una forma di "terrorismo passivo": "Indossare l'hijab è considerato un fenomeno culturale, più che una scelta individuale, visto che la maggior parte delle donne mussulmane è pacifica. Ma ho potuto osservare, nel corso degli ultimi decenni, che il fenomeno del terrorismo è preceduto da un aumento delle donne che indossano l'hijab". Inoltre, scrive Hamid, "[…] Basandomi sulla mia esperienza personale, credo che i giovani mussulmani siano motivati a unirsi ai gruppi radicali per via della privazione sessuale. Affrontare i fattori che causano questo tipo di privazione potrebbe interrompere il processo di radicalizzazione e di ridurre il numero di attacchi suicidi da parte di giovani jihadisti". Il ragionamento di Hamid non è così lontano dalla realtà. E' ormai dimostrato che lo Stato islamico utilizzi le donne come schiave e come "premio" per la vita nel Califfato.
[**Video_box_2**]Lo schema di diffusione dell'ideologia salafita pubblicato dal medico egiziano – il terrorismo "passivo", che crea le condizioni più adatte per lo sviluppo di un terrorismo "attivo" – segue dinamiche che siamo stati costretti a conoscere bene. Quella di Hamid non è un'accusa contro il velo islamico tout court, ma il suo ragionamento è semplice. Secondo il medico egiziano l'islamismo è un "un fenomeno complesso e multidimensionale che include componenti ideologiche, psicologiche, culturali, politiche, militari ed economiche. Non si può risolvere il problema dell'islamismo senza analizzare ognuno di questi fattori. E non c'è una soluzione unica per risolverli tutti. Per indebolire l'islamismo, serve l'integrazione e la sincronizzazione di strategie diverse".
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