Se mi ascolti non vale

Redazione
Piccole ipocrisie intorno alla grande potenza che intercetta tutti

C’è qualcosa di larvatamente ipocrita nel cicaleccio offeso del governo e delle opposizioni di fronte all’inventario degli ascolti segreti cui fu sottoposto dagli americani l’allora premier, Silvio Berlusconi, nel 2011. Intanto, se esiste una anomalia conclamata, più che nelle intercettazioni in sé sta nel fatto che queste intercettazioni siano sfuggite al controllo della ferrea legge del silenzio tipica degli apparati di sicurezza.

 

Lo spionaggio, anche quello degli alleati, è consustanziale al modus operandi di ogni intelligence moderna, come sanno bene coloro che hanno lavorato o lavorano nella così detta zona grigia delle barbe finte, là dove ragion di stato e interessi condivisi sono separati da confini labili e incerti, e dove conta più il risultato che non il galateo. Oltretutto l’America non è banalmente un alleato dell’Italia, è la potenza egemone di un occidente col fiato corto, le cui cancellerie collaborano con Washington consapevoli della loro subalternità, spesso appellandosi a un sempre più immaginario ruolo salvifico statunitense, salvo poi riscoprire improvvisamente il concetto di sovranità a beneficio di opinioni pubbliche mutevoli e manovrabili.

 

[**Video_box_2**]Chiunque, al posto dell’America, avrebbe avuto l’istinto d’impicciarsi nel tramestio che attraversava un paese satellite in crisi economica e politica; a maggior ragione dacché in Italia sono ben piantati basi militari e apparati logistici destinati a proteggere quel che rimane della sovranità atlantica. Infine, nota solo in apparenza ironica, quelle intercettazioni testimoniano pure che l’Italia contava (e forse conta ancora) qualcosa nel quadrante strategico del Mediterraneo. Meglio dell’indifferenza.

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