Il lato perdente della strategia di Obama
L’Amministrazione Obama progetta di inviare alcune decine di soldati delle forze speciali in Nigeria per aiutare l’esercito nella lotta contro Boko Haram – o per meglio dire contro lo Stato islamico nell’Africa occidentale, ché ormai la continuità tra le due organizzazioni è assoluta. L’annuncio, che è stato anticipato dal New York Times e deve essere confermato dai dipartimenti di stato e della Difesa, è l’ultimo di una lunga serie. In pochi mesi Obama ha inviato piccoli gruppi da alcune decine di soldati contro lo Stato islamico nell’est della Siria, in una missione kill-or-capture contro i leader di Is in Iraq, commandos con funzioni di sorveglianza in Libia, piccoli gruppi per occuparsi dell’antiterrorismo in Somalia e in Senegal. “Special ops is the new drone”, dicono gli esperti di difesa, e certamente l’invio di piccoli gruppi specializzati nei fuochi di guerra del terrorismo islamista consente al presidente americano di dire “stiamo facendo qualcosa” senza dover annunciare l’invio dei “boots on the ground”. Strategia molto obamiana. Ma a giudicare dai risultati di questo “qualcosa”, con la situazione siriana fuori controllo nonostante la cessazione delle ostilità negoziata con i russi che entra in vigore oggi, e la Libia che vede crescere esponenzialmente l’influenza dello Stato islamico, la strategia obamiana sembra più che altro una testimonianza di disimpegno. Obama ha puntato tutto, legacy e influenza, sul deal nucleare con l’Iran, e in tutti gli altri campi ha deciso di navigare sul lato perdente della politica estera, senza mai prendere l’iniziativa e senza aiutare nemmeno “from behind” gli alleati che sarebbero disposti a farlo. Mandare le forze speciali non serve senza la credibilità di un progetto di lunga durata.
Ma se l’Iran del post deal è quello ritratto dalle elezioni di ieri, in cui gli iraniani hanno votato per rinnovare il Parlamento e il Consiglio degli esperti, la scommessa di Obama sembra perdente. Non solo perché il regime degli ayatollah continua a sfidare l’occidente con test di missili balistici e provocazioni militari. Non solo perché, nonostante il tentativo di normalizzazione post deal operato dai media occidentali, l’Iran rimane lo stato dittatoriale in cui la taglia sulla testa di Salman Rushdie è stata da poco alzata. Le elezioni celebrate ieri sono in realtà delle selezioni svuotate di senso dall’interno. La stragrande maggioranza dei candidati riformisti è stata esclusa dalle liste elettorali, e i cosiddetti riformisti ammessi sono l’espressione della furbizia politica del presidente Hassan Rohani. Qualunque risultato uscirà dalle urne, rischia di dimostrare che Obama ha scelto il cavallo sbagliato su cui puntare tutto in politica estera.