La porta è aperta, ma il caos regna
La cancelliera tedesca Angela Merkel ne fa una questione di principio: ricorda in un’intervista alla tv Ard che lei non ha aperto nessuna frontiera – semplicemente “erano aperte e io non le ho chiuse” – e che non ha alcun dubbio sul fatto che questa sia la strada giusta per certificare l’esistenza di una Unione europea votata all’accoglienza e alla solidarietà. Tutto il resto, ha aggiunto, è contro la sua idea di Europa. Critica i limiti posti dagli stati all’afflusso di migranti entro i rispettivi confini, mentre ieri qualche migliaio di chilometri più a sud trecento migranti siriani e iracheni cercavano di abbattere la rete che divide la Grecia dalla Macedonia, dopo la decisione del governo di Skopje di fissare un tetto giornaliero al transito di profughi attraverso le proprie frontiere. Proteste analoghe si sono verificate a Calais, in Francia, dove 55 mezzi della polizia locale hanno avviato lo sgombero della tendopoli occupata da più di tremila migranti desiderosi di attraversare la Manica e giungere in Gran Bretagna.
E’ la dimostrazione che una politica europea d’ampio respiro non può essere fondata solo sui princìpi (in questo caso l’accoglienza) cari ai padri fondatori, specie se non si tengono in considerazione le legittime osservazioni (e le perplessità) degli altri partner comunitari. I muri che si alzano a est come a ovest del continente rendono evidente quanto fosse velleitaria la decisione di Berlino, risalente alla scorsa estate, di accogliere tutti solo in base alla considerazione che “la Germania è in grado di farlo”. Sette mesi dopo, e migliaia di profughi richiedenti asilo in più rispetto al previsto, anche Merkel rivede le sue posizioni, facendo sapere che nel 2016 gli ingressi non potranno essere gli stessi dell’anno scorso. E se la Germania, terra promessa, si appresta a mettere i filtri, gli altri paesi meno attrezzati e fin dall’inizio dubbiosi sulle porte aperte innalzano barriere per evitare di divenire un enorme campo profughi con migranti che entrano e non possono più uscire. Per un’Europa che punta a essere interlocutrice affidabile nella soluzione del caos mediorientale, è un po’ poco avere come unica politica quella delle porte aperte.