Uno stabilimento petrolifero in fiamme in Libia

Sulla Libia, unità nazionale e zero feticci onusiani

Redazione
L'esigenza di mettere in sicurezza la sponda meridionale del Mediterraneo spetta anche all'Italia. Quel che c'è da fare sul fronte interno (sparate leghiste e pacifiste escluse) e sul fronte internazionale (niente attendismi onusiani)
L’intervento in Libia è ormai un’esigenza indiscutibile. Una ragione in più è la sicurezza dei nostri connazionali che altrimenti diventeranno gli obiettivi preferenziali delle bande locali che si attendono una ricompensa dallo Stato islamico (Isis) se catturano gli italiani, visto che tutte le fonti, a cominciare da quelle americane, indicano nell’Italia il capofila dell’azione militare antiterrorista in quel paese. Al governo Renzi spetta ora il compito di rinserrare le fila, nelle relazioni internazionali, soprattutto con l’Egitto e la Tunisia per assicurarsi l’appoggio logistico o almeno una benevola neutralità ai confini libici, e di realizzare un ampio consenso politico in patria. Seppure con frasi insolenti, persino Matteo Salvini non vuole impedire che l’Italia faccia la guerra all’Isis. Silvio Berlusconi invita ad agire senza approssimazioni o dilettantismi, ma fa intendere che sosterrebbe un’azione ben programmata. Ci sono le condizioni per realizzare l’unità nazionale, anche per controbattere la prevedibile controffensiva “pacifista” della sinistra interna ed esterna al Partito democratico.
 

Arrivati a questo punto bisogna agire, senza più nascondersi dietro la foglia di fico dell’attesa di un mandato delle Nazioni Unite. Una volta che ci sia, e c’è, l’assenso dell’America e della Russia, il timbro Onu è del tutto ininfluente. Perdere tempo per speciose questioni legalitarie serve solo a dare ai terroristi altro tempo per rinsaldare le loro posizioni e i loro rapporti con le tribù locali più permeabili alla loro influenza economica. E’ comprensibile che si lavori per perfezionare il piano dell’intervento, per assicurarsi un coordinamento efficace con le altre forze, francesi, americane, britanniche in qualche modo già attive sul campo. Anche le relazioni con il simulacro di governo libico, per quel che conta, debbono essere mantenute e implementate, Tutto ciò, però non può rallentare o ostacolare il ruolino di marcia di una azione che quanto più ritarda tanto più risulta pericolosa. Matteo Renzi dovrebbe consultare separatamente i leader di tutte le formazioni politiche rappresentative, per evidenti ragioni di riservatezza, e poi, raccolti i consensi necessari, agire. E’ comprensibile la preoccupazione per le vite dei soldati che dovranno mettere piede su un terreno infido, ma dovrebbe prevalere la preoccupazione di perdere la guerra senza combatterla. Un consolidamento del controllo dell’Isis sulla sponda meridionale del Mediterraneo, che già si affaccia su Misurata, rappresenta un pericolo grave e immediato, contro il quale è evidente il diritto (e il dovere) dell’autodifesa. Ci sono le condizioni perché questo dovere venga sentito da un arco ampio di forze politiche e sarebbe un grave errore non battere il ferro finché è caldo.

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