Sulla Libia, unità nazionale e zero feticci onusiani
Arrivati a questo punto bisogna agire, senza più nascondersi dietro la foglia di fico dell’attesa di un mandato delle Nazioni Unite. Una volta che ci sia, e c’è, l’assenso dell’America e della Russia, il timbro Onu è del tutto ininfluente. Perdere tempo per speciose questioni legalitarie serve solo a dare ai terroristi altro tempo per rinsaldare le loro posizioni e i loro rapporti con le tribù locali più permeabili alla loro influenza economica. E’ comprensibile che si lavori per perfezionare il piano dell’intervento, per assicurarsi un coordinamento efficace con le altre forze, francesi, americane, britanniche in qualche modo già attive sul campo. Anche le relazioni con il simulacro di governo libico, per quel che conta, debbono essere mantenute e implementate, Tutto ciò, però non può rallentare o ostacolare il ruolino di marcia di una azione che quanto più ritarda tanto più risulta pericolosa. Matteo Renzi dovrebbe consultare separatamente i leader di tutte le formazioni politiche rappresentative, per evidenti ragioni di riservatezza, e poi, raccolti i consensi necessari, agire. E’ comprensibile la preoccupazione per le vite dei soldati che dovranno mettere piede su un terreno infido, ma dovrebbe prevalere la preoccupazione di perdere la guerra senza combatterla. Un consolidamento del controllo dell’Isis sulla sponda meridionale del Mediterraneo, che già si affaccia su Misurata, rappresenta un pericolo grave e immediato, contro il quale è evidente il diritto (e il dovere) dell’autodifesa. Ci sono le condizioni perché questo dovere venga sentito da un arco ampio di forze politiche e sarebbe un grave errore non battere il ferro finché è caldo.