I tre fronti della regina Merkel
Quest’intesa con Erdogan piace troppo
Viva l’accordo, l’accordo è morto. Rielaborando la celebre formula dei tempi della monarchia francese, ecco che all’indomani dell’intesa a trazione tedesca tra Unione europea e Turchia sull’immigrazione, in Germania finisce sotto tiro la principale fautrice della stessa, la cancelliera Angela Merkel. Dieter Frankenberger, sulla Faz, si è detto scettico a proposito dell’accordo che prevede la riammissione in Turchia dei migranti che arrivano direttamente sulle isole greche, in cambio dell’ammissione di rifugiati già registrati ad Ankara. Innanzitutto perché, sostiene il commentatore della Faz, sarà difficile mettere d’accordo gli europei sulla redistribuzione dei rifugiati. Meglio dunque attendere la versione definitiva dell’intesa – il Consiglio dell’Ue si è dato dieci giorni, fino al 19 marzo – e poi studiare la sua implementazione. I fatti per ora sembrano dargli ragione, almeno in parte. [continua]
Le elezioni e i piani di Frau Klöckner
di Andrea Affaticati
I tedeschi non amano gli anglicismi, ma le elezioni regionali di domenica in tre Länder – Baden-Württemberg, Rheinland-Pfalz e Sachsen-Anhalt – sono già state ribattezzate il “Super Sunday” della Germania. L’appuntamento è importante non soltanto perché ormai quasi tutti i paesi europei si stanno abituando a campagne elettorali permanenti, ma perché si tratta di un voto sulla politica e la gestione dei migranti da parte della cancelliera, Angela Merkel. Se il risultato della Cdu non dovesse essere scintillante, non si tratterebbe della caduta della Kanzlerin, ma certo si potrebbe aprire un varco alternativo per quel che riguarda le politiche del 2017. E in questo varco vorrebbe infilarsi Julia Klöckner, quarantatreenne con i capelli a caschetto, i modi cordiali, il piglio agguerrito e una volontà di ferro. [continua]
Il fascino della divisa, in Germania
di Pietro Romano
Mentre si intensificano le voci di un intervento straniero in Libia, il 51 per cento dei tedeschi chiede un forte incremento delle spese militari. Il resto si divide tra contrari e “non so”. La fonte potrebbe essere di parte (è l’Istituto di scienze sociali della Bundeswehr, le Forze armate, ad aver condotto il sondaggio), ma un anno fa – stessa fonte – i favorevoli si erano fermati al 32 per cento, meno dei contrari. Questa sembra essere la tendenza prevalente a Berlino e dintorni. A dicembre, tre quarti dei parlamentari hanno votato a favore della campagna militare in Siria, partita il primo di gennaio scorso e destinata a durare un anno (ma non ci crede nessuno) mentre alla Porta di Brandeburgo non più di duemila persone avevano accolto l’appello dell’estrema sinistra a manifestare per la pace. Un numero sempre decrescente dal 1992 in poi, insomma da quando la Germania in divisa, sia pure evitando a ogni costo la parola “guerra”, si è riaffacciata sullo scenario internazionale. Da allora sono passate più di 60 missioni all’estero e, vero giro di boa, sono tornati a casa, avvolti in tragici sudari, i corpi di 56 militari tedeschi morti in Afghanistan. [continua]
L'editoriale dell'elefantino