Liberal che amano Trump. Camille Paglia endorsa "The Donald" e stronca Cruz
Camille Paglia, femminista, opinionista e docente universitaria di riferimento dell'ambiente liberal americano, detesta le considerazioni mainstream piegate al politicamente corretto. Sulle primarie in corso negli Stati Uniti ha più volte ribadito il suo apprezzamento verso il progressista democratico Bernie Sanders. Fino a qualche mese fa quindi non sorprendevano le parole che aveva usato parlando di Donald Trump. L'estate scorsa l'aveva definito "un imbonitore carnevalesco", di certo "non un possibile presidente" per gli Stati Uniti.
Ora lo scenario è cambiato radicalmente. Dalle colonne di Salon, Paglia fa marcia indietro e ritratta tutto con una mossa che, fatta da una fervente sostenitrice di Sanders, ha del clamoroso. Le parole di Paglia confermano quanto le primarie dimostrano da tempo: il candidato repubblicano riscuote successo anche tra i democratici (vedi il caso delle Unions in Ohio). Le vittorie inanellate da "The Donald" alle consultazioni repubblicane, stato dopo stato, spingono a una riflessione più seria del fenomeno dalla bionda chioma della politica americana. Trump, scrive Paglia, dimostra di avere qualità fondamentali per insediarsi alla Casa Bianca, prima fra tutte il senso di leadership e la capacità di dire le cose come stanno, col necessario "candore impavido". A differenza della rivale democratica Hillary Clinton, Trump non è uno di quelli che rivende i discorsi bozzati da uno staff nutrito di consiglieri e consulenti, bensì è uno di quelli che "si è fatto sa solo"; tutto quello che dice, continua Paglia, è davvero farina del suo sacco. "Una ventata di aria fresca", insomma, rispetto all'ambiente gessato della rivale d'establishment. Di più. Nota Paglia come sia ormai indubbio come Trump si sia dimostrato capace di gabbare gli stessi media, talmente ciechi da parlare di lui solo per sottolineare i suoi (comunque innegabili) toni camerateschi usati nel corso di comizi e interventi pubblici. In realtà, continua la sociologa, i mass media "hanno sottovalutato la sua capacità di rivolgersi a coalizioni diverse", spiazzando tutti.
Paglia esalta anche la figura dell'imprenditore che scende in campo, con un bagaglio di esperienza acquisito nel mondo degli affari che all'America può far comodo (a tal proposito, l'opinionista propone un'analogia: "Se Mitt Romney avesse parlato di più di business avrebbe vinto le passate elezioni"). L'americano vuole un leader capace di saper gestire la cassa, per questo Trump piace. E poco valgono le recenti similitudini tra Donald e Hitler o Mussolini. Scrive Paglia: "Sono esagerazioni. Trump non ha nessuna brigata fascista organizzata alle sue spalle. Non dobbiamo aver timore delle sue impazienti tendenze autoritarie". Piuttosto, "ne abbiamo avuto abbastanza degli ordini esecutivi costituzionalmente discutibili di Obama". Trump è quindi il meglio che ci sia sulla piazza repubblicana. E' da apprezzare per essere "senza peli sulla lingua, uno con pochi fronzoli", tutta un'altra pasta, insomma, rispetto a Ted Cruz, definito "servile, un attore da strapazzo, un vanaglorioso che ha fatto della pietà cristiana una professione. Cruz non sa nemmeno chi diavolo sia lui stesso: e la Casa Bianca non è il luogo, sia per lui sia per noi, per scoprirlo".