Tutti gli ostacoli di Merkel
Nonostante la sconfitta nelle elezioni regionali, Angela Merkel ha annunciato che non cambierà la sua politica sui rifugiati. Domenica è stato “un giorno difficile” per la sua Cdu, ha riconosciuto la cancelliera tedesca, senza minimizzare il successo nelle urne del partito eurofobo e anti immigrazione Alternative für Deutschland e la necessità di fronteggiare le paure dei suoi cittadini su arrivi e integrazione. Ma le immagini dei migranti bloccati al valico tra Grecia e Macedonia dimostrano che la chiusura delle frontiere “non è la soluzione”, ha spiegato Merkel. Migliaia di rifugiati siriani e iracheni sono partiti dal campo greco di Idomeni e hanno attraversato un fiume vicino al confine macedone in una nuova “marcia della speranza”. Sulle isole, gli sbarchi continuano a un ritmo di oltre mille persone al giorno, secondo i dati dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu. Non basta costruire qualche barriera di filo spinato, stanziare qualche milione di aiuti umanitari in Grecia e dichiarare “chiusa” la rotta dei Balcani, per risolvere una crisi che rimarrà irrisolvibile, almeno fino a quando continuerà la guerra civile in Siria. Il piano Merkel di “riammissione” dei migranti dalla Grecia alla Turchia in cambio del “reinsediamento” dei rifugiati siriani dalla Turchia in Europa è un modo per mettere ordine nel caos migratorio, salvare vite umane, riconquistare la fiducia delle opinioni pubbliche e sperare di poter rincollare i cocci di un’Ue a pezzi. Se il prezzo da pagare è una contorsione in termini di diritto internazionale e qualche concessione politica alla Turchia, è un prezzo inferiore al costo politico ed economico del disfacimento dell’Ue.
Al Vertice di giovedì e venerdì, quando i leader si ritroveranno per discutere del pre-accordo raggiunto il 7 marzo con il premier turco Ahmet Davutoglu, il piano Merkel incontrerà forti resistenze. Cipro non ne vuole sapere di aprire cinque capitoli nei negoziati di adesione con la Turchia e il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, oggi sarà sull’isola per convincere il governo di Nicosia a non mettere il veto. La Francia e l’Austria sono contrarie a una liberalizzazione dei visti che darebbe libero accesso allo spazio Schengen a 72 milioni di turchi. Alcuni paesi, come l’Italia, hanno forti dubbi su una strategia che di fatto metterebbe l’Ue nelle mani dell'imprevedibile presidente turco Erdogan. Sono tutti ostacoli che potrebbero rivelarsi insormontabili, come la questione che agita di più i benpensanti: la legalità internazionale ed europea di un accordo che in sostanza prevede l’espulsione di massa di richiedenti asilo. “La Spagna è totalmente contraria a rimpatri collettivi di rifugiati”, ha detto ieri il ministro degli Esteri di Madrid, José Manuel García-Margallo: “Non accetteremo un accordo contrario al diritto internazionale e ai diritti umani”.
Ai benpensanti andrebbe però ricordato il coraggio dell’etica della responsabilità: meglio costringere i rifugiati ad aspettare in Turchia un charter verso l’Europa espellendo dalla Grecia chi supera la fila, oppure lasciarli affogare nell’Egeo o dentro un fiume in piena alla frontiera greco-macedone com’è accaduto ieri a tre migranti? Il piano Merkel di una gestione ordinata della crisi dei rifugiati è un’alternativa al caos. Lo sa l’Unhcr che, pur non avendo risparmiato critiche, ha detto di essere pronto a dare una mano sul reinsediamento. Per Merkel, che ha già messo in piedi una coalizione di paesi “volenterosi”, sarà difficile convincere i suoi colleghi ad accettare un numero sufficiente di rifugiati siriani da andare a prendere in Turchia. Ma poche decine di migliaia di reinsediati non basteranno a fermare l’ondata di migranti che porta alla disintegrazione dell’Ue e permette ad Alternative für Deutschland e soci populisti di fare il pieno nelle urne. Quanto a Erdogan, il piano Merkel nei fatti sposta la frontiera della politica migratoria dell’Ue in Turchia. Tanto vale provare a fare i conti con il presidente turco, aprendo i capitoli negoziali su giustizia e libertà fondamentali. Ferita dal terrorismo, con una politica estera a brandelli, prima o poi anche Ankara potrebbe accorgersi che la sua sopravvivenza è più europea che ottomana.