Cosa dice la lettera di Lula contro le intercettazioni illegali
L’ex presidente brasiliano, colpito dalle indagini, contrattacca e denuncia “gli atti ingiustificati di violenza” della magistratura politicizzata.
Traduciamo la “lettera aperta” dell’ex presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva, al centro dello scandalo nelle ultime settimane per il suo coinvolgimento nell’operazione Lava Jato, la Tangentopoli brasiliana. Dopo la sua nomina a ministro, che gli garantisce una parziale immunità giudiziaria, il procuratore Sérgio Moro ha pubblicato le registrazioni di alcune sue conversazioni private con la presidente Dilma Rousseff, in cui gli offriva la carica di capo di gabinetto “nel caso sia necessaria”. Dopo la pubblicazione delle intercettazioni migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il governo. In questa lettera pubblicata ieri, Lula risponde alle accuse e contrattacca denunciando l’ingerenza inaccettabile (e illegale, secondo la legge brasiliana) dei magistrati.
Credo nelle istituzioni democratiche, nel rapporto indipendente e armonioso tra i poteri dello stato, come stabilito nella Costituzione federale. Dai membri della magistratura mi aspetto, come tutti i brasiliani, l'imparzialità e la fermezza nel distribuire la giustizia e garantire il rispetto della legge e il rispetto incrollabile lo stato di diritto. Credo anche nei criteri di imparzialità, correttezza ed equilibrio che guidano i giudici in questa nobile missione. Credendo nelle istituzioni e nelle persone che incarnano, ho sempre fatto ricorso alla Corte suprema quando necessario, soprattutto nelle ultime settimane, al fine di garantire i diritti e le prerogative che non riguardano solo me, ma tutti i cittadini e tutta la società.
Negli otto anni in cui ho esercitato la presidenza per decisione sovrana del popolo – fonte primaria e indispensabile per l’esercizio del potere nelle democrazie – ho avuto l'opportunità di mostrare apprezzamento e rispetto per il potere giudiziario. Non l'ho fatto solo parole, ma mantenendo un rapporto quotidiano di rispetto, dialogo e cooperazione; l’ho fatto nella pratica, e questo è il criterio migliore della verità. Nel mio governo, quando la Corte Suprema si è ritenuto offeso per il sospetto che il suo allora presidente fosse stato vittima di intercettazioni telefoniche, non mi persi in considerazioni sull'origine o la veridicità delle prove presentate. In quell'occasione, ho presentato una risposta completa che mi sembrò adeguata per preservare la dignità della Corte suprema, affinché i sospetti fossero liberamente indagati e si giungesse così alla verità dei fatti. Ho agito in quel modo non solo perché sarebbero stati esposte l’intimità e le opinioni degli interlocutori. Ho agito per rispetto del potere giudiziario e perché mi sembrava anche l’atteggiamento giusto davanti alle responsabilità che mi erano stati affidate dal popolo brasiliano.
Nelle ultime settimane, come tutti sappiamo, è la mia vita privata, quella di mia moglie, dei miei figli e dei miei compagni di lavoro che è stata violata attraverso fughe illegali di informazioni che dovrebbero essere sotto la custodia della giustizia. Sotto la copertura di atti processuali conosciuti prima dalla stampa e soltanto dopo comunicati agli interessati che avrebbero il diritto legale di esserne a conoscenza, sono stati commessi atti ingiustificati di violenza contro la mia persona e la mia famiglia.
In questa situazione estrema, in cui mi sono stati sottratti alcuni diritti fondamentali da parte di agenti statali, ho espresso il mio disappunto in conversazioni personali, che non avrebbero mai superato i limiti della confidenza, se non fossero state pubblicate attraverso una decisione giudiziaria che offende la legge e il diritto. Non mi aspetto che i magistrati della Corte Suprema condividano le mie posizioni personali e politiche. Ma non posso accettare che, in questo episodio, parole estratte illegalmente da conversazioni personali, tutelate dall'articolo 50 della Costituzione, diventino oggetto di giudizi sprezzanti sulla mia figura. Non accetto che le parole dette in occasioni particolari siano trattate come un reato pubblico, prima di procedere a un esame imparziale, libero e coraggiosa sulla rimozione illegale della riservatezza da queste informazioni. Non accetto che un giudizio di valore molto personale si sovrapponga alla legge.
Non ho avuto accesso a grandi studi formali, come sanno tutti i brasiliani. Io non sono un medico, un letterato, un giurista. Ma so, come ogni essere umano distinguere la verità dalla menzogna; il giusto dall’ingiusto. Gli episodi tristi e vergognosi di queste ultime settimane non mi faranno perdere fiducia nel potere giudiziario. Né mi fanno perdere la speranza nel buon giudizio, nell’equilibrio e nel senso della misura dei magistrati della Corte Suprema. Giustizia, solo la giustizia, è quello che mi auguro per me e per tutti, nel pieno rispetto dello stato di diritto democratico.
Luiz Inácio Lula da Silva