Il governo libico è senza Libia
Quando a febbraio, con l’assenso riluttante dei delegati di governi e fazioni, si è celebrata dopo mesi di negoziato la creazione di un governo di unità nazionale in Libia, sembrava che ormai la strada fosse spianata. Il governo unitario, riunito intorno a Fayez Serraj, un tecnocrate poco conosciuto in patria come all’estero, è da sempre la condizione minima necessaria per l’avvio di un’operazione militare dell’occidente contro lo Stato islamico, la cui ombra continua a crescere in Libia.
Europa e Stati Uniti hanno bisogno di un governo che dia all’intervento una cornice legale e a loro un interlocutore affidabile, capace di resistere ai movimenti contrastanti delle milizie e dei gruppi di potere locali, che oggi esprimono un governo a Tripoli e uno a Tobruk. Ma il tanto atteso governo unitario, con il nuovo premier e tutti i suoi ministri, dal giorno della sua nomina ancora non è riuscito a mettere piede in Libia, tanto meno a prendere possesso del potere come da accordi e volontà della comunità internazionale.
E’ stato “imposto dall’esterno”, dice Khalifa Ghweil, il primo ministro del governo a propulsione islamista di Tripoli, aggiungendo che se Serraj dovesse farsi vivo non esiterà a farlo arrestare. Dall’altra parte, a Tobruk, il Parlamento locale non ha ancora nemmeno riconosciuto l’accordo a livello ufficiale, e il capo dell’esercito Khalifa Haftar, con il suo alleato egiziano, sembra avere idee diverse da quelle degli europei. Serraj, che pure ieri in un’intervista ha promesso che il governo si installerà “in pochi giorni”, è relegato in Tunisia da settimane, e con le possibilità di un governo unitario si allontanano anche quelle di un sempre più urgente intervento militare. Gli incontri fervono e i piani di guerra ormai non sono più nemmeno tanto segreti. Ma la politica libica, come al solito, ha altri tempi, e forse anche altri obiettivi.